Ucraina. «Io, prete e psicologo, in missione fra famiglie e bimbi con traumi di guerra»
Don Oleg Klymonchuk, il giovane sacerdote psicologo nel giorno della sua ordinazione lo scorso ottobre
«Forse non c’era un tempo migliore per diventare prete». Don Oleg Klymonchuk è uno dei due sacerdoti della Chiesa greco-cattolica ucraina ordinati a Kiev dall’inizio dell’invasione russa. Capelli corti e barba folta, ha trent’anni. Ed è anche uno psicologo. Lo psicologo dei bambini con i traumi di guerra che ha abbracciato nell’oratorio estivo itinerante voluto da quello che, dopo qualche mese, sarebbe stato nominato il vescovo ausiliare di Donetsk, il salesiano Maksim Ryabukha. Centinaia di chilometri percorsi ogni volta per incontrare i piccoli dei villaggi occupati nei primi mesi di conflitto.
Adesso don Oleg si ritrova a essere parroco di una comunità che porta ancora i segni della devastazione russa: quella di Makariv. Una cittadina a cinquanta chilometri da Kiev che nel primo mese di invasione è finita in mano russa e poi si è trasformata in campo di battaglia quando ancora l’esercito di Mosca premeva per assediare la capitale. «È stata bombardata pesantemente. Ci sono stati più di cento morti. E parte della gente vive oggi nei prefabbricati», racconta don Oleg. «Con la guerra, e soprattutto in contesti così feriti, il popolo ha bisogno non solo di un sostegno spirituale ma anche psicologico. Così noi preti siamo chiamati a un supplemento d’anima e di missione». Il neo prete ha già visitato le famiglie e gli anziani che sono rimasti. «Le persone hanno perso la casa e il lavoro. I lutti sono una prova per la fede. C’è chi l’ha ritrovata; chi si è allontanato. “Perché Dio permette tutto questo?”, mi sono sentito dire più volte. Oppure: “Non riesco a perdonare…”. Come sacerdote e come psicologo posso solo mettermi in ascolto: in ascolto del dolore. E ogni volta penso che ci vorranno anni prima di poter parlare di riconciliazione».
Oleg Klymonchuk, prima di diventare prete, durante l'oratorio estivo itinerante per aiutare i bambini con traumi di guerra - Gambassi
Anche a don Oleg la guerra ha cambiato la vita. Dopo tre anni di studi all’Università Pontificia Salesiana a Roma, stava completando il suo itinerario accademico a Leopoli. «Mi mancavano pochi mesi. Ma è cominciata l’invasione russa. E non mi sembrava giusto restare con le mani in mano». Si è trasferito nella capitale per essere l’angelo dei bimbi più fragili. E anche delle loro famiglie. Sui passi di san Giovanni Bosco. «I disturbi d’ansia sono esplosi. E pure gli attacchi di panico - riferisce -. I continui allarmi alimentano il senso di insicurezza. Il fatto di avere parenti al fronte è motivo di stress. Poi ci sono i casi più complessi: quelli di coloro che hanno perso i propri cari oppure subìto danni permanenti al fisico o hanno un familiare catturato in Russia. Anche lo stop alle lezioni in presenza a scuola influisce negativamente sullo sviluppo dei ragazzi: i genitori mi dicono che i figli sono spesso in preda alla rabbia e alla tristezza. E gli adolescenti si mostrano già pronti a combattere: ne sono la prova gli abiti militari che ogni giorno indossano». Questo Oleg psicologo. Poi è arrivato il matrimonio. E la figlia che adesso ha sei mesi. Come consente la tradizione orientale. «Con la guerra non sai mai se avrai un domani. Ecco perché ho scelto di diventare marito e padre». Quindi la richiesta di essere sacerdote. «Avevo già concluso il Seminario. Sotto le bombe il prete è una voce di speranza, come mi ripete tanta gente. E adesso le necessità sono enormi». Lo scorso 15 ottobre l’ordinazione.
Nella sua agenda c’è già il progetto di creare gruppi di sostegno per le famiglie oppure di lanciare esperienze di condivisione dei lutti. «La guerra uccide anche la psiche. Ogni psicologo sa che i valori spirituali sono una risorsa. E l’essere prete è un vantaggio». Accade che nelle parrocchie manchi all’improvviso il sacerdote. «Perché si viene chiamati a essere cappellani militari. È la maniera con cui i preti rispondono all’arruolamento obbligatorio stabilito dallo Stato. Ma non possiamo lasciare il popolo senza pastori». Nel “santino” dell’ordinazione don Oleg ha fatto scrivere un versetto della seconda Lettera ai Corinzi: “La forza si manifesta pienamente nella debolezza”. «Siamo una nazione scossa. Noi preti ci mettiamo a servizio: con i sacramenti, con la Parola, con la vicinanza, ma anche con la distribuzione degli aiuti, con la riparazione delle case, con il sostegno psicologico. E, di fronte alla prospettiva di una guerra ancora lunga, serve essere testimoni di fiducia».