Ucraina. Il vescovo: i preti rischiano la vita per portare aiuti nelle zone assediate
La distribuzione degli aiuti umanitari nelle zone assediate dall'esercito russo in Ucraina
Le giornate del vescovo Leon Dubravskiy sono segnate dai funerali. «Come pastore ho il dovere di stare accanto alle famiglie che hanno perso un parente», racconta. In questo angolo dell’Ucraina occidentale i lutti che con l’invasione russa irrompono nelle case non sono legati tanto ai missili o agli attacchi che Mosca ha indirizzato sul territorio della diocesi latina di Kamyanets-Podilskyi. «Grazie al cielo, dopo alcuni raid che avevano come obiettivo i siti militari, il quadro si è fatto meno temibile», spiega il vescovo che guida una Chiesa estesa su un’area ampia due volte la Lombardia. Eppure la guerra semina morte anche qui, nonostante «l’esercito russo non sia entrato», afferma Dubravskiy. Perché anche le due regioni di Khmelnytskyi e Vinnycja, su cui insiste la diocesi, hanno mandato al fronte i propri «figli», come li chiama il presule. «E purtroppo accade che molti di quanti sono stati chiamati a far parte dell’esercito per difenderci dal nemico tornino in una bara». Una pausa. «Immaginate una madre, una sorella, una moglie o un figlio che rivede il proprio caro soltanto in una cassa da morto... Sono tragedie. E la Chiesa deve essere al loro fianco».
Monsignor Leon Dubravskiy, vescovo latino di Kamyanets-Podilskyi - Diocesi di Kamyanets-Podilskyi
Frate minore francescano, originario dell’Ucraina, monsignor Dubravskiy è diventato prete a Riga, nell’attuale Lettonia. Ha 72 anni e a luglio celebrerà i venti anni nella diocesi di Kamyanets-Podilskyi. Una Chiesa che, come tutte quelle cattoliche del Paese, si è unita venerdì all’atto di consacrazione dell’Ucraina e della Russia al Cuore Immacolato di Maria voluto da papa Francesco che ha accolto le richieste dell’episcopato ucraino. «Come vescovi di rito latino abbiamo fatto precedere l’appuntamento da una giornata di penitenza e perdono – riferisce Dubravskiy –. Dal momento che è rischioso spostarsi, ogni presule e ogni sacerdote ha presieduto una celebrazione. E, anche nelle zone dove non si può uscire dai rifugi o dalle case per ripararsi dai militari russi, tutti hanno potuto seguire l’affidamento attraverso la radio. La preghiera è una grande arma nelle mani della Chiesa».
Eccellenza, come si vive la follia della guerra?
Paura e speranza si uniscono, anche in distretti dove l’attacco russo è stato limitato, come i nostri. A Vinnycja è stata bombardata la torre della tv. E sono state distrutte varie basi militari che purtroppo avevano vicino infrastrutture o complessi civili. Comunque le sirene antiaeree suonano spesso: di giorno e di notte. Allora dobbiamo lasciare tutto e nasconderci. Ma non abbiamo rifugi sicuri. Ci limitiamo a scendere nei sotterranei che non sono a prova di bombe.
La Chiesa è in prima linea dell’accoglienza degli sfollati.
Facciamo tutto il possibile. Nelle due regioni che formano la diocesi se ne contano circa 200mila. E si tratta di quelli certificati in modo ufficiale. Abbiamo aperto le chiese e i monasteri per offrire ospitalità. Ci concentriamo in particolare sui più bisognosi perché una parte dei rifugiati può contare su risorse proprie. E cerchiamo di dare un tetto a chi sceglie di rimanere nel Paese o non ha la possibilità di andare all’estero. Abbiamo una proficua collaborazione con le istituzioni locali.
Siete anche un hub per distribuire gli aiuti che entrano in Ucraina dagli Stati confinanti.
Non è certo il nostro territorio uno di quelli che ha maggiori necessità. Facciamo da punto di smistamento per il Nord e l’Est dove la situazione è ben più drammatica. Recapitare i carichi non è facile. Tra l’altro ci sono timori comprensibili da parte di molti nel portare gli aiuti umanitari nelle zone di guerra. Allora tanti nostri sacerdoti sono diventati autisti rischiando anche la vita per raggiungere le aree più critiche con un’auto o un furgoncino stipato di beni d’emergenza. Inoltre come Chiesa latina abbiamo donato un’automedica che viene usata nelle diocesi dove i combattimenti hanno maggiore intensità.
Gli aiuti ai profughi in Ucraina - Ansa
Perché la Russia ha attaccato l’Ucraina?
Il conflitto è imputabile alle ambizioni di Putin che brama di ricostituire un impero russo entro i confini della vecchia Urss. Va detto che, quando ha invaso la Crimea, il mondo non ha reagito. Così ha puntato sull’Ucraina che pensava di conquistare velocemente. Ma si è scontrato con la nostra resistenza.
Il Papa ha lanciato ripetuti appelli chiedendo di fermare questo «massacro», come lo ha definito.
Lo sentiamo al nostro fianco. Numerosi sono i gesti profetici che ha compiuto: la visita all’ambasciata russa presso la Santa Sede; le sue continue parole di condanna; il colloquio con il patriarca ortodosso russo Kirill durante il quale ha ribadito che la guerra non è mai una soluzione; i contatti con il nostro presidente e i rappresentanti di vari Paesi. Ma soprattutto il Pontefice ha chiesto a tutta la Chiesa e al mondo di pregare per l’Ucraina e per la pace. Il Papa sa farsi prossimo con coraggio ai più fragili.
Il patriarca di Mosca ha giustificato l’aggressione. I cristiani si dividono?
La Chiesa ortodossa russa è genuflessa al governo. E non può opporsi al Cremlino. Perciò Kirill si accoda alle decisioni di Putin. Tutto ciò sta causando seri problemi fra i cristiani. Lo vediamo anche qui da noi. Tutte le confessioni, ma anche le altre religioni, hanno condannato l’invasione russa. Così accade che in Ucraina gli ortodossi legati alla Chiesa russa siano entrati in rotta con il patriarcato di Mosca. E mi permetta un ammonimento: siccome Putin dice di essere cristiano, dovrebbe ricordarsi sia il comandamento dell’amore, sia il comandamento “Non uccidere”.
Il funerale di un soldato ucraino morto al fronte - Ansa
C’è chi caldeggia una visita del Papa in Ucraina.
L’arrivo del Pontefice rappresenterebbe una svolta e con la sua forza spirituale potrebbe fermare la guerra. Personalmente, però, trovo questa ipotesi molto pericolosa. Il Paese è devastato. Non sarebbe possibile il bagno di folla che ci fu quando giunse Giovanni Paolo II nel 2001 e radunò centinaia di migliaia di persone. Magari Francesco potrebbe arrivare alle nostre frontiere.
La Santa Sede si è proposta come mediatrice tra Ucraina e Russia. La soluzione al conflitto passa dalla via diplomatica?
La proposta vaticana di mediazione è molto importante. E intende coinvolgere anche altri Paesi. Ritengo comunque che la diplomazia debba mettere al centro ciò che la gente sta subendo in modo dichiarato, aperto, cristallino. Occorre partire dalla verità. Il male va chiamato con il proprio nome se si vuole arrivare a una negoziazione giusta.