La guerra in Europa. Salesiani al servizio della pace. Tutte aperte le case in Ucraina
don Antúnez davanti alla statua di don Bosco
Servire gli altri, aiutarli, fare comunità con loro. Scoprendo, ancora una volta, che chi dona in realtà riceve molto più di quel che dà. Quando parla dell’impegno salesiano in Ucraina, la voce di don Daniel Antúnez si incrina, ma il racconto del dolore non cede mai alla tristezza fine a se stessa. Perché c’è troppa vita negli sguardi degli uomini e delle donne costretti a cercare futuro lontano da casa, tra gente sconosciuta eppure amica, che non si può smettere di ringraziare. Sono gli stessi occhi che il presidente di “Missioni Don Bosco” si porta nel cuore dal giorno in cui li ha incrociati al confine tra Polonia e Ucraina durante il suo viaggio tra le opere salesiane presenti nel Paese sotto attacco.
«È stato uno choc vedere le mamme scappare con un bambino in braccio e come bagaglio magari solo una borsa per lo stretto indispensabile. Mi ha colpito vedere come si sia disposti a rinunciare a tutto per salvare la vita dei figli. Io sono argentino – prosegue Antúnez – e il mio Paese è passato attraverso il conflitto delle Malvinas e la crisi con il Cile ma in Ucraina ho visto la guerra più dura, quella che ti costringe a scappare». “Missioni Don Bosco” conta otto opere in Ucraina, tutte rimaste aperte. «Ci siamo domandati cosa potevamo fare e abbiamo deciso di metterci a disposizione delle persone, quelle che vivevano lì e i profughi che sarebbero arrivati».
Un centro salesiano in Ucraina - Missioni Don Bosco
Concretamente significa riconvertirsi, come la casa famiglia di Leopoli i cui 47 piccoli ospiti e 5 educatori sono stati trasferiti in Slovacchia mentre il palazzo, un edificio di di quattro piani, oggi accoglie chi spera di passare dall’altra parte del confine. «I ragazzi, che hanno tra i 5 e i 15 anni, sono stati messi al sicuro, anche per l’impegno di padre Mickhail Chaban, il responsabile provinciale dei Salesiani ». E subito si è messa in moto la macchina della solidarietà, spontanea e organizzata, quest’ultima soprattutto grazie alla convenzione con il Centro statale per l’infanzia e la famiglia.
Lo stesso legame, sotto forma di accoglienza e donazioni, che pure con modalità e stili differenti, unisce il nostro Paese alla terra sotto attacco russo. «In Ucraina siamo una quarantina di salesiani, organizzati in una visitatoria», una struttura più piccola rispetto all’ispettoria. Il superiore locale è padre Mikajlo Chaban mentre la presenza dei “figli di don Bosco” riguarda otto centri: Kiev, Leopoli, Dnipro, Zhytomyr, Odessa, Korostyshiv, Peremyshlany e Bibrka.
Visitarli significa immergersi nell’espressione concreta di un carisma che guarda soprattutto ai giovani, alla loro formazione umana, scolastica e professionale. Tutto però oggi sta assumendo un sapore diverso, quello dell’emergenza, che non si vuole accettare diventi normalità. Per questo, osserva don Antúnez, bisogna mettere al servizio della pace ogni possibile sforzo di preghiera e di attenzione agli ultimi. Così il viaggio compiuto nella prima metà di marzo insieme al confratello don Daniel Vidovic, responsabile dell’accoglienza dei rifugiati a Torino Valdocco, è diventato l’occasione per aprire le porte della casa madre dei salesiani a un consistente gruppo di rifugiati. «Attualmente ospitiamo 42 persone.
Sono soprattutto mamme con i loro figli, tra cui un piccolo che dovrebbe nascere a fine aprile o inizio maggio. Il ragazzo più grande invece ha 11 anni. Non ci sono padri e mariti – continua Antúnez – perché gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono lasciare il Paese». Giorno dopo giorno, l’accoglienza è diventata una rete, «in collaborazione con le Figlie di Maria Ausiliatrice, che a Cumiana hanno accolto in comunità otto persone, dieci all’Istituto Agnelli, quattro a Giaveno. Siamo tutti salesiani, è importante lavorare insieme».
La tragica crisi legata alla guerra, infatti, si è tradotta anche in un invito alla riscoperta della propria originalità di testimonianza. L’atto di consacrazione di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato della Vergine richiama, ad esempio, la devozione a Maria Ausiliatrice. «È la mamma della nostra Congregazione, don Bosco diceva che se si prega Maria Ausiliatrice il miracolo è sicuro». Ecco allora che accogliere i rifugiati all’ombra della Basilica mariana di Valdocco assume un significato particolare. «Nel dolore, nella sofferenza della guerra che è la cosa più terribile che ci sia, quest’esperienza di vicinanza e accoglienza è come una primavera, l’occasione per rivitalizzare la nostra salesianità ». Un secondo aspetto riguarda il legame con il Papa, verso il quale don Bosco chiedeva obbedienza assoluta. «Lavoriamo per venire incontro ai bisogni, di cibo, di casa, delle persone – conclude don Antúnez –. E se il Papa chiama, se ci chiede di aiutarlo per realizzare la pace, noi ci siamo, andremo. Con la responsabilità e la gioia di metterci al servizio di un bene così grande».