Il Rapporto. Tutela dei minori, Morris Kettelkamp: «Ascolto e giustizia per le vittime»
Morris Kettelkamp (seconda da sinistra) e gli altri membri della Commissione per la tutela dei minori
«Le vittime vogliono essere ascoltate, vogliono giustizia». Non ha dubbi Teresa Morris Kettelkamp, segretaria aggiunta della Pontificia commissione per la tutela dei minori, intervistata da Vatican News a proposito del primo Rapporto annuale, pubblicato il 28 ottobre. Il documento, chiarisce Morris Kettelkamp, «è uno strumento, un’istantanea dello status della Chiesa in relazione alla salvaguardia dei sopravvissuti» agli abusi e nasce dalla richiesta del Papa di avere un’idea riguardo a «come si sta comportando la Chiesa globale nel contesto della tutela dei minori».
Una richiesta, quella di Francesco, che ha imposto alla Commissione presieduta dal cardinale Sean Patrick O’Malley un compito serio e preciso, da condurre in modo appropriato. «Ma non avevamo un programma da seguire – spiega Morris Kettelkamp – e dovevamo pensare: “Come si fa a farlo?”». La raccolta dei dati si è quindi avvalsa di più contributi, a partire dall’incontro - ancora in corso – con i vescovi giunti a Roma per le visite ad limina: «Così abbiamo incontrato i vescovi dopo le loro udienze con il Santo Padre. Erano spesso le quattro del pomeriggio, faceva caldo, loro erano stanchi e probabilmente anche affamati. Ma parlavamo delle risposte ai loro questionari quinquennali e di come potevamo aiutarli a sviluppare risorse, che sono le fondamenta per la creazione di un ambiente sicuro in una Chiesa accogliente verso chi ha subito abusi». C’è stato poi un lavoro diviso tra le commissioni nelle diverse regioni del mondo, attraverso valutazioni di esperti su quali siano le sfide, ma anche le buone e le cattive notizie di ciascuna area. Infine, si è guardato «alla Chiesa al di fuori dalla Chiesa, ovvero la Caritas e altri ambiti nell’ambiente ecclesiastico che aiutano i bisognosi».
Le domande che hanno guidato il lavoro della Commissione sono state sempre le stesse: «Dove sono le misure di salvaguardia? L’apertura all’accoglienza dei sopravvissuti?». E se è pur vero che «non abbiamo ancora una cultura della salvaguardia», «un dato che emerge – sottolinea la segretaria - è che il desiderio di sviluppare meccanismi di salvaguardia per la Chiesa è universale nonostante le sfide, le culture e risorse diverse». La differenza di vedute è forse il più grande ostacolo con il quale la Commissione si trova a dover fare i conti. Un caso è quello del “conforto” che i sopravvissuti dovrebbero trovare nei centri in cui si recano, sul quale le definizioni possono non coincidere: «Negli Stati Uniti, ad esempio, il conforto può essere equiparato al denaro, ma questo non corrisponde alla realtà». E ancora: «Ciò che significa per me giustizia può essere diverso da quello che significa per te. Ma [le vittime] vogliono quella, vogliono indietro la loro integrità. Questa è una delle sfide che abbiamo riscontrato nella Chiesa».
Il Rapporto, commenta Morris Kettelkamp, «è un progetto pilota, un’istantanea. Ci sono lacune. Ma questa è la nostra prima volta e la Chiesa è seriamente impegnata nella salvaguardia. Anche se mancano le risorse, nel corso della mia esperienza non ho trovato un solo leader ecclesiale che abbia ignorato la salvaguardia». Una disponibilità che sostiene il primo passo e incoraggia i prossimi: «Dobbiamo fare di più per fare sentire ciascuno accolto e perché le vittime di abusi possano farsi avanti, senza che ulteriori danni siano loro inflitti».