Inedito. Tonino Bello, Vangelo senza sconti: il carteggio con Turoldo
Esce in questi giorni il volume "Don Tonino sentiero di Dio. Con inediti dagli scritti e dal carteggio" (Edizioni San Paolo; 144 pagine; euro 12,50). A firmarlo è Giancarlo Piccinni, cardiologo e presidente della Fondazione don Tonino Bello. Il libro, arricchito da alcuni testi del “prete con il grembiule” mai editi prima, si apre con la prefazione di don Luigi Ciotti, che pubblichiamo in anteprima.
Tonino Bello: non basta ricordarlo, bisogna trasformare il ricordo in memoria feconda, memoria viva. Grazie dunque a Giancarlo Piccinni perché questo libro che raccoglie testi di Tonino e su Tonino, arricchiti da documenti inediti e preziosi, ce lo restituisce più che mai vivo, a venticinque anni dalla morte. Vivo, come sempre sarà una vita totalmente plasmata dal Vangelo, dalla sua sfida etica e teologica. Primo: riconoscere Dio nei poveri, negli esclusi, negli oppressi. Secondo: impegnarsi per la giustizia e la pace di questo mondo. È questo, a ben vedere, lo “scandalo” di don Tonino, quello scandalo che oggi, con papa Francesco, scuote dal vertice l’intera struttura della Chiesa: non possiamo dirci davvero cristiani se, insieme alla fede nel Regno, non c’impegniamo a contrastare le ingiustizie dell’al di qua. Non possiamo dirci davvero cristiani se non ci avventuriamo nell’agitato mare della Storia e, uscendo dai luoghi sacri, consacriamo quelli più deserti, periferici, abbandonati. Non possiamo dirci davvero cristiani se non stiamo dalla parte dei poveri denunciando chi li sfrutta, li umilia, li respinge. « Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo » ha scritto papa Francesco.
«La Chiesa è per il mondo, non per se stessa», ha detto Tonino Bello, con folgorante sintesi. Certo non è stato il solo, né il primo. Altri hanno saldato con forza il Cielo e la Terra. E fa bene Piccinni a legare la figura di Tonino Bello a quelle di David Turoldo e di Ernesto Balducci, per molti, a cominciare da chi scrive, punti di riferimento e precursori di un cambiamento non solo delle liturgie ma del senso stesso dell’essere cristiani. Ma Tonino lo ha fatto a suo modo e nel suo tempo, che è stato, finché la malattia se l’è portato via, anche il nostro. Un tempo forse più complicato di quello vissuto da Turoldo e Balducci, segnato da speranze oggi aggredite da un sistema economico che depreda la vita delle perso- ne e del pianeta, che è una guerra sotto mentite spoglie, la terza guerra mondiale denunciata dal Papa a chi non vuole né vedere né sentire.
Ecco allora che in don Tonino la saldatura di Terra e Cielo si manifesta persino come convergenza, sintesi, continuo travaso tra Parola di Dio e ricerca di verità: «Delle parole dette mi chiederà conto la storia, ma del silenzio con cui ho mancato di difendere i deboli dovrò rendere conto a Dio». Tonino non solo li ha difesi, i poveri, ma li ha accolti, ha condiviso tanta parte delle loro esistenze, senza permettere che il ruolo, le incombenze, i “cerimoniali” facessero da ostacolo. Divenuto da poco vescovo, in una lettera del 31 dicembre 1982 riconosce il problema: «Il nuovo ritmo, la prigionia nel palazzo sontuoso, il nuovo tipo di rapporto con le persone, il formalismo e l’ossequio, il copione e il cerimoniale... mi danno una sofferenza terribile. Cerco di sgattaiolare in tutti i modi, e questo sconcerta non pochi» [...]. Ci riuscì davvero, a sgattaiolare, se è vero che l’enorme affetto che continua a essergli rivolto viene soprattutto dai poveri, dalle persone che non ha mai smesso di cercare e di sostenere. Come Bartolo, l’amico senza fissa dimora che incontrava ogni volta che veniva chiamato a Roma; Bartolo che viveva sulla strada e nel cui fragile riparo di cartone Tonino Bello riconosceva «un ostensorio, contenitore di frammenti di santità». Al tempo stesso ha difeso la pace. Ma non in modo retorico o esortativo. Presidente di Pax Christi, don Tonino respingeva quello che chiamava “monoteismo della pace”, affermava che la parola pace acquista senso e consistenza solo se associata alla parola giustizia. Che solo se fondata sul riconoscimento della dignità delle persone è una pace vera, altrimenti è una sembianza di pace, una traballante tregua, un accordo contingente mosso da interessi di altro genere.
Fu proprio questa dignità minacciata il suo maggiore cruccio, e la motivazione che lo spinse a dare al suo ruolo una funzione anche “politica”, attirandosi critiche e attacchi da molte parti: «Di che cosa deve interessarsi un vescovo? Del colore dei paramenti o del numero di ceri da mettere sull’altare?» rispose a chi gli obbiettava che un uomo di Chiesa non avesse titolo per immischiarsi nelle questioni di politica internazionale (erano i tempi della Guerra del Golfo), come se la politica non fosse impegno e promozione del bene comune, «forma alta ed esigente di carità», come ebbe a definirla Paolo VI. Proprio perché Tonino riteneva che questo fosse, soffriva nel vedere la politica ridotta a regolatrice di interessi (con incredibile perspicacia – siamo nel settembre 1992! – intravide lo sviluppo di un’Europa «cassa comune invece che casa comune, Europa più di mercanti che di fratelli») o come cinico strumento di potere: «Amate senza riserve la gente che Dio vi ha affidato: a Lui, prima che al partito, un giorno dovrete rendere conto». Non faceva davvero sconti a nessuno il vescovo di Molfetta, ritenendo il servizio per il bene comune una sorta di apostolato laico, e vedendo nella città terrena, pur nelle sue contraddizioni, la premessa e il viatico della città celeste. Tutto questo emerge e vive nelle pagine di Giancarlo Piccinni, a cui caldamente rimando.
Riservandomi di sottolineare ancora un punto: il rapporto di don Tonino coi giovani, che sosteneva e proteggeva da chi dimostrava nei loro riguardi un interesse di circostanza, celebrandoli come “il nostro futuro” quando lui obbiettava, con un punto di rabbia – quella rabbia che denota amore – che essi sono invece il nostro presente. Soffrirebbe nel vederli oggi privati proprio di quel futuro che avrebbero dovuto incarnare, abbandonati da una politica che, salvo eccezioni, li ha usati, ingannati e delusi. Ma gioirebbe nel sapere come tanti di loro trovino nelle sue parole – parole forti, coerenti, poetiche, profetiche, capaci di attraversare le generazioni – una ragione per impegnarsi per il bene comune, per dedicarsi alle cose grandi e belle che si manifestano oltre il muro dell’io. Tonino Bello continua a essere un prezioso lievito dei loro fragili sogni: «Diventate la coscienza critica del mondo, diventate sovversivi. Non fidatevi dei cristiani che non incidono la crosta della civiltà. Fidatevi dei cristiani autentici sovversivi come san Francesco». Così parlava il mio amico Tonino Bello, cristiano autentico sovversivo che ha inciso la crosta dell’indifferenza, dell’egoismo, dell’ingiustizia, lasciando nel cuore e nella mente di molti un luminoso segno di speranza. Il vescovo Tonino Bello (1935-1993)