Anniversario. Tommaso d'Aquino? Un contemplativo dominato dal desiderio della sapienza
Al centro Tommaso d'Aquino in un dipinto di Benozzo Gozzoli con accanto Aristotele e Platone
Era una domenica il 18 luglio di 700 anni fa quando il frate predicatore Tommaso d’Aquino (1225-1274), tra le più raffinate e acute intelligenze teologiche di formazione aristotelica mai suscitate in seno alla Chiesa cattolica, veniva proclamato santo.
A presiedere la Messa e il rito di canonizzazione con la bolla Redemptionis Misit nell’allora sede del Papato ad Avignone nella Cattedrale di Notre Dame des Doms fu Giovanni XXII. Proverbiale in quel frangente fu la risposta del Papa francese, al secolo Jacques Duèse (Jacme Duesa) a chi gli obiettava che l’autore della Summa Theologiae non avesse compiuto grandi miracoli: «Quante proposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece».
E proprio il 18 luglio scorso si è voluto recare all’abbazia cistercense di Fossanova nel Lazio (il luogo dove si spense, a soli 49 anni, il “Doctor Angelicus”, il 7 marzo del 1274) il cardinale e prefetto del Dicastero delle cause dei santi Marcello Semeraro, nella veste di inviato speciale di papa Francesco, per presiedere un’Eucaristia in onore di Tommaso. Semeraro nella sua omelia ha voluto ricordare la sapienza teologica ma anche i doni mistici di cui fu costellata la sua breve ma intensa vita.
E non è un caso che, lo scorso 29 giugno, papa Francesco abbia voluto indirizzare una Lettera – per i 700 anni dalla canonizzazione, i 750 dalla morte (che ricorrono nel 2024) e gli 800 dalla nascita (che si celebreranno nel 2025) ai vescovi legati alla memoria viva dell’Aquinate: cioè i pastori di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo e Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri, rispettivamente Mariano Crociata, Gerardo Antonazzo e Ambrogio Spreafico. Con questo testo Bergoglio ha voluto ribadire l’attualità di questo santo del XIII secolo definendolo una «risorsa e un bene prezioso per la Chiesa».
Figlio dei conti di Aquino, discepolo prediletto di sant’Alberto Magno e dottore della Chiesa dal 1567, per volere del papa e frate predicatore come lui san Pio V, è ancora famoso oggi per averci lasciato capolavori come la Summa contra gentiles o gli inni liturgici Pange Lingua o l’Adoro Te Devote.
Chi si sofferma sulla cifra di santità dell’Aquinate e della sua sconfinata grandezza come pensatore (basti pensare a quanto fu amato, citato e studiato: da Dante Gilbert Keith Chesterton, da Etienne Gilson a Umberto Eco con il romanzo “Il nome della rosa” fino agli scritti del grande teologo francese Jean-Pierre Torrell) è il domenicano, storico di formazione e per anni postulatore generale per le cause dei santi per l’Ordine dei predicatori, il modenese Gianni Festa.
«Come nel caso del fondatore del mio istituto Domenico di Guzmán – racconta – la sua figura mi ha sempre affascinato fin da quando ero studente al liceo. Egli è stato per me un uomo “dominato” dal desiderio della sapienza. Un uomo dei “desideri” lo definisce infatti il suo più autorevole biografo Guglielmo di Tocco». E aggiunge un particolare lo studioso che è anche docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna (Fter) a Bologna: «Forse anche dal suo carisma così intellettuale di questo umile frate di cui spesso si celebra la “santificazione dell’intelligenza”, capace di grandi silenzi e per questo chiamato il “bue muto” possiamo comprendere meglio forse il celebre motto che l’Ordine domenicano ha derivato dal suo insegnamento: contemplari et contemplata aliis tradere, contemplare e trasmettere agli altri ciò che si è contemplato. Si tratta di un passo tratto dal suo capolavoro, per eccellenza, la Summa Theologiae».
Una recente immagine del domenicano e storico Gianni Festa - Collaboratori
Il religioso pone l’accento anche su quanto la proclamazione a santo di Tommaso fosse stata strategica per papa Giovanni XXII che era, tra l’altro “costretto” a risiedere, per imposizione del regno di Francia ad Avignone e non a Roma, sede naturale della Cattedra di Pietro. «Con il gesto pubblico di Giovanni XXII di elevare Tommaso a santo si voleva indicare in lui e nell’Ordine dei predicatori il modello da seguire. Non è un caso che il suo pensiero sia radicato nella Tradizione biblica, patristica e medievale del suo tempo. La bolla Redemptionem misit è molto esplicita al riguardo: contro il dilagare di dottrine eretiche- vedi gli spirituali, averroisti o nominalisti – la Chiesa ha scelto di appoggiarsi su una dottrina chiara e robusta. La canonizzazione fu anche l’esito di tale congiuntura storica».
Il santo amato e studiato da Paolo VI e da Giovanni Paolo II
Padre Festa accenna anche all’importanza che il pensiero dell’Aquinate ha tuttora nella vita della Chiesa a partire del Concilio Vaticano II. Ma non solo. «Penso in particolare a papa Paolo VI che nel 1974 a settecento anni dalla sua morte scrisse la famosa Lettera Lumen ecclesiae. Montini indicò a noi domenicani di tornare alle fonti di Tommaso: alla sua vera dottrina. E volle recarsi da “semplice” pellegrino a Fossanova e ad Aquino pronunciando in quell’oramai lontano 1974 due omelie molto confidenziali. In quel frangente si chiese qual era il motivo che l’aveva spinto a quel viaggio. E rivolgendosi ai fedeli accorsi a sentirlo si pose questa domanda: “Maestro Tommaso quale lezione ci puoi dare?”
Papa Montini nella sua riflessione si disse convinto dell’attualità del suo pensiero alla luce anche del rapporto tra fede e scienza e lo indicò come un maestro nel solco del Concilio Vaticano II». Come non dimentica nel suo ragionamento padre Festa di rimarcare il debito di Giovanni Paolo II, che fu tra l’altro discepolo di uno dei padri nobili del tomismo preconciliare Réginald Garrigou Lagrange all’Angelicum di Roma, per Tommaso d’Aquino.
«Basti pensare all’enciclica del 1998 Fides et ratio». E osserva ancora: «Mi viene spesso in mente la bellissima udienza generale di Benedetto XVI del 23 giugno del 2010 in cui si soffermò sulla virtù della fede, della devozione mariana e dell’importanza che ebbe la preghiera per tutta l’esistenza di questo “semplice” frate». Un pensiero infine - alla luce di questo importante anniversario i 700 anni dalla canonizzazione dell’Aquinate - lo storico domenicano lo rivolge all’attuale papa Francesco. E a quanto la formazione tomista appresa dai gesuiti faccia parte del Dna dell’attuale Vescovo di Roma.
«Bergoglio viene da una formazione teologica classica, normata dalla Ratio studiorum della Compagnia di Gesù nella quale lo studio della filosofia e della teologia ad mentem Sancti Thomae all’epoca era raccomandata e praticata. Non deve quindi stupire che nel corso del suo magistero abbia citato spesso Tommaso. E tra i suoi interventi a mio giudizio più profetici e mirabili è stato quello pronunciato nel 2022 ai partecipanti al Congresso tomistico internazionale in cui si è soffermato, tra l’altro, su questo principio che il “tomismo non deve essere un oggetto da museo, ma una fonte sempre viva”.
E in quel frangente, citando il cardinale di Vienna il domenicano Christoph Schönborn ha detto agli studiosi tomisti che “prima di parlare di san Tommaso, prima di parlare del tomismo, prima di insegnare, bisogna contemplare”: cioè sostare e riflettere in preghiera di fronte al pensiero dell’Aquinate. Credo che questo richiamo di papa Francesco rappresenti il modo più adeguato ed efficace per essere ancora oggi soprattutto noi domenicani degli autentici eredi del vero pensiero di Tommaso d’Aquino».
La visita nel settembre 1974 di papa Paolo VI ad Aquino - Archivio