Terra Santa. Per i cristiani Natale difficile, ma sempre nel segno di pace e speranza
Tecnici al lavoro per completare gli addobbi nella Basilica della Natività a Betlemme
«Aspettiamo con gioia l’arrivo dei pellegrini da tutto il mondo: siamo finalmente tornati a una situazione di normalità pre-pandemica», ha dichiarato il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, di rientro da una visita pastorale a Gaza, alla vigilia delle celebrazioni per il Natale.
Nel salutare l’anno che sta per chiudersi, il Patriarca ha ricordato le vittime del conflitto: «La questione palestinese non è più al centro dell'attenzione della politica nazionale e internazionale», ha denunciato. Questione aggravata dal ritorno di Netanyahu: «Con questo nuovo governo le prospettive non sono incoraggianti – ha sottolineato Pizzaballa – e mettono a rischio il già delicato equilibrio fra le varie comunità».
Anche nella concessione dei permessi speciali rilasciati in occasione delle festività natalizie ai palestinesi di Gaza affinché possano raggiungere i propri cari in Cisgiordania, gli abitanti della Striscia sono stati penalizzati. Come ci conferma il parroco latino di Gaza Gabriel Romanelli: «Le cifre ufficiali sono di 647 permessi su circa 900 richieste, tra tutti i 1.066 cristiani che vivono qui. Il problema è che quasi sempre vengono rilasciati a solo una parte della famiglia: talvolta alla madre, talvolta al padre o ad alcuni tra i figli, in modo da assicurarsi che chi esce poi faccia ritorno qui».
Un “percorso” che viene raccontato nel documentario “Il confine della Speranza”, girato dalla corrispondente di Tv2000 Alessandra Buzzetti, che andrà in onda domani e alle 17.30 e domenica 1 gennaio alle 9.20. «Sono stato felice di fare da guida alla scoperta della vita quotidiana a Gaza – ci racconta padre Romanelli –, non solo per i cristiani, ma anche per i musulmani, che vivono facendo i conti con le poche risorse a disposizione: dall’elettricità, fornita solo per qualche ore al giorno, all’acqua, contaminata, per cui, anche per cucinare, si è costretti a doverla acquistare».
Nel documentario emerge il fatto che Gaza-Betlemme è spesso un viaggio di sola andata per molti cristiani che non ce la fanno più dopo tanti anni di guerra. I permessi di uscita sono sempre temporanei, e chi decide di trasferirsi in altre città palestinesi vive per anni sospeso, diviso dai propri cari. Come è accaduto alla famiglia di Marcel. Lei e le sue tre figlie sono uscite dall’enclave nel Natale 2019, e da allora non vi hanno fatto più ritorno. Mentre il marito, Yousef, è rimasto bloccato a Gaza.
«Durante un bombardamento – racconta Yousef – ho detto a mia moglie: scappa con le bambine. Quando hanno finalmente lasciato Gaza ho tirato un sospiro di sollievo, senza rendermi conto che non sapevo quando le avrei riabbracciate». Marcel spiega che ora lei e le figlie sono “migranti interni” per l’Autorità palestinese, mentre per Israele sono “migranti illegali”.
«Può essere pericoloso anche solo spostarsi da una città palestinese all’altra. Se i militari israeliani ci fermano, rischiamo di essere riportate nella Striscia, di non poterne uscire mai più». E lì non si vive: si sopravvive. Abuna Romanelli spiega che dopo i raid aerei dello scorso agosto, ora nell’enclave c’è una parvenza di normalità. «Eppure – sottolinea il parroco – qui il confine tra guerra e pace è sempre molto labile. E le operazioni militari spesso arrivano senza preavviso, come le tempeste».
Tanti aspettano il Natale come un momento di serenità. E chi non può uscire guarda a Betlemme, alla Natività. Dove sono attesi molti cristiani anche dalla Cisgiordania. Secondo padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, in totale, i permessi concessi da Israele ai cristiani per recarsi nei luoghi santi sono oltre diecimila. «Ci sono stati incontri nelle settimane scorse con le autorità israeliane – ha spiegato al Sir –. Speriamo sia un Natale di pace e di speranza».