Chiesa

Il dato. Sempre più suore “missionarie” in Italia: «Ma non chiamateci straniere»

Igor Traboni martedì 10 ottobre 2023

Due suore di origini straniere

«Quando sento dire “voi suore straniere” non mi piace, perché nei nostri Paesi di origine le suore che vengono da fuori le consideriamo “missionarie”, non straniere. E comunque sempre parte di una sola famiglia. E in una stessa famiglia non ci sono stranieri, ma solo fratelli e sorelle». Con voce gentile ma ferma, madre Venita Fernandes ci tiene a mettere subito i puntini sulle i della presenza di tante suore che arrivano da quelle terre di missione dove invece erano una volta proprio le religiose italiane ad andare, trend interrotto – e invertitosi – a causa della crisi delle vocazioni.

E madre Venita Fernandes, 55 anni, da questo punto di vista ha un’esperienza particolare: nei mesi scorsi è stata eletta superiora delle suore di Maria Bambina (così vengono comunemente chiamate le religiose dell’Ordine delle suore di carità delle sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa) ed è la prima non italiana alla guida di questa congregazione che oggi conta 3.240 suore in tutto il mondo: «Sono originaria di Goa, dove è forte la presenza di cattolici, l’antica colonia portoghese dove è sepolto san Francesco Saverio, patrono delle missioni. Quando sono entrata in istituto per diventare suora, mi sono subito trovata insieme a delle italiane e poi sono venuta a Roma per studiare. Poi sono tornata in India e ora, da 6 anni, sono stabilmente in Italia. Quel primo periodo mi ha aiutato molto per stabilire un contatto con lingua e cultura diverse. E poi, quando dall’Italia tornavo a casa, avevo addirittura qualche problema a comunicare con i miei». Ci scherza su madre Venita, ma per trasmettere un messaggio importante: «Quando le suore italiane arrivavano da noi in India, venivano accolte con un sentimento di grande stima anche perché arrivavano per restare per sempre, allora era infatti più difficile spostarsi, viaggiare. Invece adesso ci si sposta più facilmente. Quando andiamo all’estero, prima facciamo un periodo adeguato di preparazione, così come chi è già sul posto si prepara ad accogliere le suore che arrivano da altri Paesi. Il difficile arriva quando ci sono preconcetti, quando abbiamo idee sbagliate dell’altro, magari anche del posto da cui proviene. Accogliere è sempre difficile e spesso la mentalità che le suore di altri Paesi trovano in Italia e in Europa è assai diversa, ma da questo punto di vista si può sempre migliorare, essere più aperte, anche nelle piccole cose, come ad esempio nel cibo. Nel mio cammino non ho avuto problemi particolari, ma incomprensioni sì, soprattutto quando mi hanno fatto sentire una suora straniera».

È invece il termine “multiculturalità” che alla madre generale delle suore di Maria Bambina piace molto: «Dobbiamo arrivarci, con tanto impegno da parte di chi arriva e di chi accoglie. Papa Francesco ama ripetere che la diversità è una ricchezza e anche io sono convinta che ognuna di noi porta qualcosa che completa l’altra, perché neppure l’uniformità va bene».

Prima di chiudere, apriamo la parentesi sulla crisi delle vocazioni religiose femminili in Italia e sulla possibilità che a sopperirvi arrivino proprio suore dall’India e da tante altre nazioni asiatiche e africane: «Non so se sarà proprio così, perché anche in Italia noto un certo rifiorire delle vocazioni. Noi, ad esempio, adesso abbiamo una juniores e una novizia italiane dopo tanti anni. Certo, magari la nostra freschezza, il nostro modo di vedere le cose con qualche elemento di novità, può indurre delle ragazze italiane a chiedersi cosa fare della vita. Ma probabilmente non è neppure un fatto di vedere suore giovani, perché quel che conta è essere giovani dentro. E soprattutto dare testimonianza».