LA CHIESA CHE VERRÀ. Il primato dell'umiltà sulle tracce di Francesco
L'argomentazione è condotta in modo ineccepibile, ma a contare di più è forse la mozione degli affetti: «Avremo grandi sorprese da questo Papa», assicura don Stefano Alberto, che qui tutti conoscono come "don Pino". Il suo è l’ultimo intervento dell’incontro con il quale il Meeting sembra dare ufficialmente il benvenuto a Francesco, l’uomo che è stato scelto «quasi alla fine del mondo», come sottolinea a più riprese il teologo: «Non è un’indicazione di luogo, ma di tempo – spiega –, è l’invito a uscire dalla cristallizzazione dello spazio per proiettarsi nel futuro, l’esortazione a non ripiegarsi su quel che resta della Chiesa per affrontare invece l’avventura di un nuovo inizio».Non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo. Sì, il tema indicato è "Papa Francesco: con la Lumen Fidei alle periferie dell’esistenza", ma il risultato va molto al di là di una pur precisa rilettura dell’enciclica. Si tratta, semmai, di un "incontro" vero e proprio, nel senso specifico e pregnante che il termine riveste nel pensiero di don Luigi Giussani e, di conseguenza, nell’esperienza di Comunione e Liberazione. Modera il giornalista Alver Metalli, grande esperto di America Latina, e a prendere la parola per primo è José Maria Di Paola, e cioè "padre Pepe", il cura villero che i lettori di "Avvenire" già conoscono per il suo coraggioso impegno fra gli emarginati di Buenos Aires. Con Bergoglio condivide il dono di una carismatica umiltà, confessa che mai avrebbe immaginato di rivolgersi a una platea così vasta e poi, in tutta semplicità, ripercorre le tappe della sua storia di pastore segnato dall’odore del gregge. La condivisione di una quotidianità contraddista da continue privazioni, la lotta contro la droga, il legame strettissimo con l’arcivescovo che, a sua volta, è stato una presenza abituale fra le baracche dei diseredati. C’entra qualcosa la teologia della liberazione? «Il nostro modello resta il movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo – risponde padre Pepe – e nel nostro lavoro pastorale non abbiamo mai applicato categorie estranee al Vangelo. Anzi, ci siamo affidati al potere di trasformazione che la religiosità popolare ha in sé. Non si va nelle villas miserias per insegnare. Si va per imparare».
Con il segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, il giurista uruguaiano Guzmán Carriquiry, la prospettiva si allarga ulteriormente. Dalla recente Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro si risale a un altro viaggio brasiliano, quello che nel 2007 portò al santuario di Aparecida il "vescovo emerito di Roma" (come Carriquiry lo definisce) e il suo futuro successore. Crocevia decisivo, con Benedetto XVI che già allora allude all’America Latina come alla realtà in cui si gioca il destino della Chiesa, e con il cardinale Bergoglio che nel suo discorso traccia le linee di un percorso destinato ad attraversare le tappe dell’incontro, della missione e del discepolato. Carriquiry inserisce l’elezione di Francesco nella categoria, anch’essa molto cara a don Giussani, dell’imprevisto e da questo momento il discorso si fa sempre più chiaro: «Dopo la Via Crucis di Benedetto XVI, viviamo in un’esplosione di gioia tanto inattesa quanto desiderata – sostiene –. Ed è opera del demonio, che per sua natura mira a dividere, concentrarsi ossessivamente sul confronto tra un Pontefice e l’altro, oscillando tra la nostalgia canaglia, che porta a denigrare il Papa attuale, e l’ipocrisia di chi, per esaltare Francesco, cerca di saltare del tutto il suo predecessore. Al di là degli incontri privati di cui non abbiamo pubbliche notizie, la continuità fra i due è piena. Francesco sta facendo e continuerà a fare molto di quello che Benedetto XVI avrebbe voluto. Il Magistero non è mai di ieri, è sempre contemporaneo all’oggi della Chiesa. Abbiamo un solo Papa ed è alla luce del suo insegnamento che siamo chiamati a respingere ogni tentazione di esegesi retrò».
Il cerchio si chiude con don Stefano Alberto, che sottopone il testo della Lumen Fidei a un puntuale riscontro testuale. «"Cammino" - osserva - è una delle parole più ricorrenti nell’enciclica, con espressioni bellissime, come quella di "cammino dello sguardo" che rimanda alla vicenda di Zaccheo, l’uomo che pensa di voler vedere, ma in realtà desidera essere guardato. Ed è fondamentale la consapevolezza del fatto che «la fede vede nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla Parola di Dio. Noi vogliamo camminare dietro Papa Francesco, dove ci manderà, fuori, perché lì è il nostro posto nell’attesa dell’incontro con Cristo, ora».