Ucraina. «Noi sotto le bombe. Stanchi, ma forti nella speranza»
Gli operatori di Caritas-Spes nei villaggi attaccati dai missili.
«Ormai la nostra storia è già divisa fra “prima della guerra” e “durante la guerra”: espressioni che ricorrono nelle conversazioni di qualsiasi ucraino». Parla in un italiano sicuro Oleksandr Yazlovetskiy, eredità dei suoi studi in diritto canonico alla Pontificia Università Laternanese di Roma. È il vescovo ausiliare di Kiev-Zhytomyr e da metà dicembre è il nuovo presidente nazionale di Caritas-Spes, espressione della Chiesa cattolica di rito latino. Vive in uno degli appartamenti che formano il complesso della Curia, appena dietro la Cattedrale di Sant’Alessandro. La chiesa è nel centro della capitale, non distante dal quartiere della politica e da piazza Maidan, simbolo del Paese in lotta, in cui adesso le aiuole sono diventate una Spoon River bellica con i nomi dei caduti scritti a mano sulle bandierine piantate nell’erba dai parenti dei militari uccisi.
Il vescovo Oleksandr Yazlovetskiy con un carico di aiuti - Caritas-Spes
«È vero che le bombe continuano a cadere; che sempre più militari muoiono al fronte; che i black-out elettrici ci lasciano non solo al buio ma anche al gelo e senz’acqua; che il lavoro manca. Dopo un anno di conflitto, si avvertono segnali di stanchezza fra la gente, ma non di scoraggiamento», aggiunge l’energico pastore di 43 anni. «Il nostro popolo è forte nella speranza e vuole resistere. E a Mosca hanno preso un abbaglio se pensano che, con i missili e le interruzioni di corrente, ci allontaneremo dalla linea del presidente Zelensky e lo spingeremo a negoziare. Non è solo una questione di territori da liberare o meno, ma di un futuro sicuro. Una tregua in questo momento non sarebbe sinonimo di pace e permetterebbe alla Russia di riorganizzarsi così da attaccarci di nuovo».
Per raccontare lo stato d’animo di una nazione, monsignor Yazlovetskiy torna alle ore a cavallo fra il 31 dicembre e capodanno. «Qui a Kiev il 2023 si è aperto con i droni kamikaze che hanno seminato morte e distruzione. Dalle finestre la gente urlava: non per disperazione, ma per rabbia e per manifestare la voglia di non cedere». Una pausa. «Come credenti siamo chiamati ad annunciare la pace di Cristo anche in mezzo ai combattimenti. Al termine di una Messa ho visto una donna in lacrime. Mi ha raccontato che piangeva per il marito morto in trincea. Lei non voleva che partisse. Ma l’uomo le ha detto: “Se non vado, chi difenderà la nostra libertà?”. È in queste ferite interiori che il maligno può fare breccia e alimentare un clima di odio». Originario della regione di Vinnytsia, vescovo dal 2019 per volontà di papa Francesco, fa la spola fra l’Ucraina e l’Europa per testimoniare la follia della guerra e raccogliere aiuti. «I bisogni crescono. E anche la povertà – spiega il presule –. Serve di tutto: dai viveri ai medicinali. Non siamo preoccupati per l’immediato. Grazie al cielo l’Occidente ci sostiene. Ma, se verrà meno un forte supporto al Paese, rischiamo il tracollo: anche umanitario».
Eccellenza, il 24 febbraio 2022 l’Ucraina veniva aggredita. Qual è la situazione un anno dopo?
La fatica è indubbia. Prima del conflitto, il nostro Paese era marcato da un repentino sviluppo economico e sociale. E si toccava con mano una netta cesura con il passato. Se sotto l’Urss intere generazioni avevano visto la loro vita e il loro lavoro gestiti dallo Stato, fino allo scorso febbraio i giovani potevano finalmente prendere in mano le proprie esistenze e progettarsi un avvenire senza affrancature. Invece sotto le bombe ogni istante è precario. Poi siamo alle prese con la disoccupazione e l’inflazione. Inoltre con la guerra è tornata la piaga della corruzione. E ci imbattiamo in casi di speculazione sulla pelle della gente: penso a certi prezzi alle stelle.
Gli operatori di Caritas-Spes fra gli anziani che vivono nei villaggi sotto le bombe - Caritas-Spes
Continuano gli attacchi alle infrastrutture energetiche e i raid lungo il confine o a ridosso dei territori occupati. C’è chi ipotizza una nuova offensiva russa.
Putin è prigioniero del suo delirio imperialista. Pensava di conquistare in tre giorni Kiev ed è stato costretto a far ritirare le truppe. Adesso tutti siamo consapevoli che ci sarà un nuovo attacco su vasta scala. Ma le sofferenze della guerra ci hanno permesso di rafforzare la nostra identità. Prima si poteva dire: quale differenza può esserci fra russi e ucraini? Adesso il divario è abissale.
È la guerra di Putin o del popolo russo?
Un anno fa anche noi pensavamo che fosse soltanto un’invasione voluta dal Cremlino. Poi abbiamo aperto gli occhi. In Russia si esulta quando cadono i missili su di noi. La maggioranza della popolazione è a favore di Putin e della sua linea politica. I nostri parrocchiani si sentono ripetere dai parenti che abitano oltre confine: «Dovete sostenere la guerra. Così finalmente torneremo insieme ». Tutta colpa della propaganda? Ne dubito. Guardiamo a ciò che accade in Bielorussia. La gente guarda le stesse tv russe ma è contraria all’aggressione e non appoggia il presidente filorusso Lukashenko. Ci piange il cuore quando vediamo i giovani russi che vengono a uccidere i nostri ragazzi.
Come la guerra ha cambiato la vita ecclesiale?
Tutto è stato stravolto. Se penso alla Caritas, le nostre priorità sono ora il cibo da distribuire, l’accoglienza degli sfollati, le missioni nei villaggi tagliati fuori dai grandi flussi umanitari, la riparazione delle case distrutte o danneggiate. Aiutiamo migliaia di persone che hanno necessità di tutto per sopravvivere. Abbiamo raggiunto 15mila insediamenti e fornito oltre 3 milioni di servizi. Anche nelle chiese i parroci hanno voluto allestire punti di ristoro per sopperire alla mancanza di elettricità: spazi caldi, con alimenti e collegamenti alla Rete. Inoltre come sacerdote mi sono interrogato su che cosa dovessi dire nelle omelie: è bene parlare del conflitto o è meglio evitare che i missili entrino nelle liturgie? La risposta è venuta dalla Scrittura. Dio è a fianco dell’orfano e della vedova. E chi più della nostra gente vive la condizione dell’orfano e della vedova… Qualche fedele ha criticato noi vescovi perché abbiamo scelto come tema di questo anno pastorale la misericordia. Invece siamo persuasi che il Signore avrà misericordia del nostro popolo.
Un'anziana di un villaggio che vive grazie agli aiuti Caritas - Caritas-Spes
Il Papa ha detto che vorrebbe venire a Kiev ma anche andare a Mosca. Però mancano i presupposti.
Sentiamo il Papa accanto al popolo martoriato e sappiamo che l’Ucraina è nel suo cuore, come testimonia la sua straordinaria Lettera che ci ha indirizzato a novembre. Però ritengo che non possa essere un mediatore con la Russia perché il Cremlino non ha alcun rispetto di lui e lo vuole strumentalizzare.
Si può annunciare il perdono in una nazione aggredita?
Non è opportuno adesso. «Per ogni cosa c’è il suo momento», avverte il Qoelet. Come si può parlare di riconciliazione a chi ha appena perso un familiare o la casa? Invece possiamo contribuire a leggere i segni di speranza che si presentano attorno a noi. Cito Bucha, la cittadina delle fosse comuni non distante da Kiev che è stata distrutta nel primo mese di guerra e che in queste settimane rinasce alla vita: lo dicono i bambini tornati a giocare per strada. Perciò ritengo che, se l’umanità intera persevererà nella preghiera e proseguirà nella solidarietà, allora le armi taceranno. La fine della guerra dipende dalla nostra forza orante e dalla volontà di tutti: dei potenti e delle persone comuni.