Roma. L'infermiere che salvò la vita al Papa sarà suo assistente sanitario personale
Luglio 2021, il Papa recita l'Angelus dal Policlinico Gemelli
Una definizione molto impegnativa, in cui convivono senso di gratitudine e riconoscimento di grande capacità professionale. Ma che, proprio per questo, chiama a un ancora più marcato senso di responsabilità. Massimiliano Strappetti è per tutti l’infermiere che ha salvato la vita al Papa. A spiegarlo, senza peraltro citarlo direttamente, era stato lo stesso Francesco, poche settimane dopo l’intervento chirurgico al colon cui si era sottoposto al policlinico Gemelli il 4 luglio 2021. Intervistato da Radio Cope (emittente della Conferenza episcopale spagnola), il Pontefice ne aveva sottolineato gli «oltre 30 anni di esperienza» aggiungendo che era stato lui a spingere perché si sottoponesse all’intervento. «Mi ha detto “Deve fare un’operazione”». E questo, malgrado il parere contrario di chi suggeriva di limitarsi alla terapia antibiotica. Proprio quell’insistenza era poi risultata decisiva, visto che nel rimuovere la stenosi diverticolare che faceva soffrire il Papa, i chirurgi avevano trovato del tessuto necrotico.
Impegnato nel volontariato
Massimiliano Strappetti - Foto Ansa tratta dal profilo Facebook
Prima e dopo quel giorno, Strappetti, 52 anni, ha seguito passo dopo passo la salute del Pontefice. Una vicinanza formalizzata ieri nell’incarico di «assistente sanitario personale» del Papa. Significa che il «coordinatore della direzione vaticana di sanità e igiene» collaborerà ancora più strettamente con il medico del Pontefice, il professor Roberto Bernabei docente di geriatria dell’Università Cattolica.
Della biografia di Strappetti in realtà si sa abbastanza poco. Sui suoi profili social la nomina ufficializzata ieri non viene riportata. Gli ultimi post sui Facebook sono invece dedicati a scene di vita familiare e a un omaggio ai nonni e alle nonne, perché diventarlo «non significa essere vecchi, ma essere stati benedetti con il regalo più bello che possa esistere». Tra i pochi particolari conosciuiti risalta comunque l’impegno di Strappetti, già al servizio di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nell’attività di volontariato a favore dei senza dimora, in cui collabora con il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Altro dato ufficiale è che al servizio in Vaticano è arrivato dopo un iter professionale che l’ha visto impegnato al Gemelli, anche nel reparto di rianimazione.
Gli infermieri, santi della porta accanto
Il Papa al Gemelli durante il ricovero dell'anno scorso - Ansa
Al di là della nomina, comunque, la sua vita non cambierà più di tanto. Continuerà a svolgere il compito di “angelo custode” di malati e fragili com’è proprio degli infermieri che dedicano anima e cuore al loro mestiere. Il Papa stesso l’ha sottolineato più volte arrivando a definirli «santi della porta accanto». In particolare due anni fa nel Messaggio per la Giornata a loro dedicata, Francesco aveva scritto che «ogni giorno, a contatto con gli ammalati» infermiere e infermieri, «sperimentano il trauma che la sofferenza provoca nella vita di una persona. Sono uomini e donne che hanno scelto di rispondere “sì” a una vocazione particolare: quella di essere buoni samaritani che si fanno carico della vita e delle ferite del prossimo. Custodi e servitori della vita, mentre somministrano le terapie necessarie, infondono coraggio, speranza e fiducia».
Un servizio, una capacità di sostegno che Francesco ha sperimentato personalmente più volte. Nel 2021 ma anche nel 1957 come rivelato dallo stesso Bergoglio nella medesima intervista a Radio Cope. Nella circostanza richiamata il futuro Pontefice veniva curato per un’epidemia di influenza che un infermiere del Seminario combatteva con l’aspirina. Terapia insufficiente tanto che Bergoglio venne portato in ospedale dove gli tolsero acqua da un polmone. Allora «il medico disse – continuava il Papa –, non ricordo bene, un milione di unità di penicillina e tanta streptomicina e quando uscì, l’infermiera mi disse: “il doppio”». Quell’assunzione di responsabilità, quell’aumento di dosaggio, furono decisivi per la guarigione. E anche per la fiducia del Pontefice in una categoria professionale che per così dire impersonifica il prendersi cura quotidiano, lo stare accanto, Come gli angeli custodi. Come infermieri e infermiere innamorati del loro mestiere, ma soprattutto delle persone.