Cammini. La Sicilia a piedi, dalla Magna Via Francigena a santa Rosalia
La campana in cima al monte di Sutera
Una Sicilia primordiale, fuori dalle rotte, che si incontra viaggiando senza bussola. Perché non ci si passa, se non perdendosi, in questo pezzo della regione, sconosciuta per lo più anche a tanti siciliani. Oppure bisogna andarci apposta. E trovarla e percorrerla con una missione precisa, in un cammino di scoperta della meraviglia dei luoghi e di sé. Siamo nel cuore dell’isola, la Sicilia dei Sicani, fra Palermo, Caltanissetta e Agrigento. Una Sicilia di terra e di pietre. Di storia, di cultura e di fede. Sulle rotte della Magna Via Francigena: 190 chilometri, in nove tappe, dal golfo di Palermo alla Valle dei Templi di Agrigento, lungo le vie percorse da greci, romani, arabi e normanni, intersecando l’Antica Trasversale Sicula (650 chilometri da Camarina a Mozia) e l’Itinerarium Rosaliae che collega i luoghi del cammino di santa Rosalia, dall’eremo di Santo Stefano Quisquina sui Monti Sicani al Santuario sul Monte Pellegrino. Un viaggio che l’assessorato al Turismo, sport e spettacolo della Regione Siciliana propone, insieme agli altri cammini dell’isola (come la Via Fabaria o dei Frati) per far conoscere una Sicilia diversa da quella da cartolina dei tanti luoghi del turismo di massa.
In cammino con “Terre di mezzo” e la redazione della collana “Percorsi” che da anni ormai cura la mappatura dei territori e aiuta a orientarsi nell’andare lungo la Penisola. Da viandanti, flâneur, camminatori, pellegrini, sognatori. Perché «bisogna essere un po’ visionari per mettersi in cammino, saper intravedere e desiderare la meta», dice Miriam Giovanzana, direttore di Terre di mezzo. «Attraversare la Sicilia sulle antiche vie romane e poi normanne è un’esperienza affascinante e unica», fra oltre quattrocento regie trazzere (dal francese dressier, tirar dritto) e i sentieri di transumanza. Ad accompagnarci nella riscoperta di queste strade dell’anima è Davide Comunale, autore della guida La Magna Via Francigena. Sicilia a piedi da mare a mare, che insieme ai volontari dell’associazione Amici dei Cammini Francigeni di Sicilia, studia e ricerca le tracce delle culture antiche che hanno abitato l’isola: romani, bizantini, musulmani e normanni. «Ogni popolo ha saputo lasciare testimonianze importanti del suo passaggio, dalle tradizioni alla cucina dall’arte alla religione – dice Comunale –. Mi piacerebbe che i camminatori potessero guardare a questa terra, a volte martoriata e condannata dal malaffare, con occhi diversi». Camminare per «cambiare ottica». Con questo spirito percorriamo le tre tappe centrali della Magna Via, partendo dalla Riserva naturale orientata di Monte Carcaci e l’incanto verde (in estate dorato) del parco dei Monti Sicani, attraversando Borgo Riena, un villaggio disabitato degli anni Trenta, su sentieri segnati da suggestivi abbeveratoi, per arrivare a Castronovo di Sicilia, la cittadina dei Sicani con il pianoro del Kassar, il castello, e la rocca di San Vitale. Proseguendo verso Cammarata e San Giovanni Gemini, ci si ferma alle Grotte di Capelvenere e al Casale medievale di San Pietro, sin dal X secolo, hospitale per viandanti e pellegrini.
A Santo Stefano di Quisquina ecco l’imponente eremo seicentesco di Santa Rosalia alla Quisquina, tappa finale dell’Itinerarium Rosaliae: secondo la tradizione qui la Santuzza, patrona di Palermo, trovò riparo e visse per dodici anni, in una grotta umida e stretta. Figlia del conte Sinibaldo Sinibaldi, signore di Monte delle Rose e Quisquina, era scappata di casa per non sposare il principe Baldovino che la famiglia aveva scelto per lei e, dal 1150 al 1162, si nascose in quell’anfratto all’interno dei territori del padre. «Io Rosalia Sinibaldi, figlia del signore della Quisquina e del Monte delle Rose, per amore del mio Signore Gesù Cristo, ho deciso di abitare in questa grotta»: è il segno lasciato in un latino arcaico sulla parete della grotta. Il nostro cammino si chiude a Sutera: borgo protetto da una rupe gessosa sulla cui sommità si trovano i ruderi del castello normanno e il santuario in cui vengono custodite le reliquie dei santi protettori del paese: san Paolino, sant’Onofrio e san Archileone. La salita al monte per le feste patronali e le processioni devozionali porta i fedeli a una campana, da suonare tre volte: una volta perché è finita la salita, un’altra perché si è felici di essere lì e un’altra ancora per ritornare. Un balcone sulla Sicilia, da cui si può scorgere in lontananza tutta la maestosità dell’Etna. «“Mettici manu” è il nostro motto – chiude Comunale, ricordando la molla che ha fatto scattare l’avventura di far rivivere i cammini in Sicilia –, un’esortazione a non restare fermo, a impegnarti per cambiare ciò che è in tuo possesso fare, a sporcarti di polvere e sorridere». Se è vero che «una strada esiste quando è percorsa», non resta che partire e percorrerla. «Amunì, andiamo».