Parole e vita. Citazioni beate: alla sorgente delle frasi più celebri di Carlo Acutis
Carlo Acutis (1991-2006)
«Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie», ma anche «la tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio», sono due frasi fulminanti, ormai inscindibili dal modo di vivere e di credere portato avanti dal beato Carlo Acutis. Frequentemente citate a suo riguardo, in realtà non sono state coniate direttamente da lui. Rimane comunque impossibile capire da dove le avesse tratte: forse da qualche lezione scolastica, dai consigli di qualche sacerdote, o ancora da letture portate avanti autonomamente.
La frase sugli originali e le fotocopie trova corrispondenza nel saggio “Conjectures on Original Composition” (“Congetture sulla composizione originale”), opera del pastore anglicano Edward Young, edito nel 1759. Meditando sul rapporto tra autori del suo tempo e modelli classici, l’autore, che era anche poeta e critico letterario, sosteneva che lo spirito d’imitazione contrasta il disegno della natura, che porta gli uomini nel mondo «completamente originali. Non ci sono due volti né due menti simili; ma tutti portano l’evidente marchio di separazione della natura su di essi. Nati originali, come accade che moriamo copie?».
La seconda espressione si ritrova invece praticamente identica nell’opera “Silence cartusien” (“Silenzio certosino”) di dom Augustin Guillerand, già priore della Certosa di Vedana, morto nella Grande Certosa a Saint-Laurent-du-Pont nel 1945. A sua volta l’ha ricavata da un autore anonimo, stando a quello che scrive: «Ti ho citato una bella massima che ho copiato già da lunghi anni e che molto spesso mi rammento: “La tristezza è lo sguardo su di sé; la gioia è lo sguardo su Dio!”. Medita queste parole, e vi troverai il segreto della felicità. Le anime soffocano perché sono strette; e sono strette perché restano nei limiti del loro piccolo “io”. È più che naturale che manchino d’aria in questa prigione. Bisogna uscirne. Noi siamo più grandi di noi; ecco perché soffriamo quando rimaniamo in noi. Noi siamo grandi come Dio, ma a condizione di entrare in lui».
Il fatto che abbia attinto ad autori più antichi non sminuisce, però, la caratura della sua testimonianza. È molto più importante, infatti, riconoscere come Carlo abbia reinterpretato quegli insegnamenti, associandoli alla sua vita ordinaria di figlio e di studente.
Alla natura teorizzata dal pensatore inglese, il ragazzo ha sostituito Dio, anche se in maniera non esplicita. In questo modo, ha trovato la propria originalità e l’ha messa in campo con tutti i mezzi a disposizione, a cominciare dall’interesse per l’informatica. Invece di conformarsi a quello che la società poteva chiedere a uno come lui, è andato dritto per la sua strada, convinto che Dio fosse dalla sua parte.
Inoltre, piuttosto che riprodurre in ogni dettaglio un prototipo di bambino o ragazzo santo, come tanti vissuti in epoche più o meno remote – basti pensare ai santi Francesco e Giacinta Marto, che per Carlo erano comunque dei punti di riferimento – ha cercato come esserlo lui tra la fine del Ventesimo secolo e l’inizio del Ventunesimo, badando a sé stesso e a quello che il Signore gli suggeriva tramite i fatti della vita, aiutato da alcune guide spirituali e mosso dalla sua insaziabile curiosità.
Il suo sguardo, poi, secondo le testimonianze più volte ascoltate in questi anni, non è mai stato ripiegato su di sé, neanche quando ha affrontato prove piccole o grandi, non ultima la malattia che l’ha portato alla morte. Contemplava Gesù nell’Eucaristia, ma riusciva a riconoscerlo presente anche visitando i senzatetto o collaborando a insegnare il catechismo. Faceva ricerche sulle indulgenze e sui Novissimi, ma non per andare dritto in Paradiso lui da solo. In modo sorprendente e incredibilmente rapido, è dunque diventato a sua volta una fonte d’ispirazione per tanti, non solo giovani, che attendono ormai solo l’annuncio del giorno della canonizzazione.