Chiesa

L'ANNIVERSARIO. I sette anni di Benedetto: Papa capace di stupire

Salvatore Mazza giovedì 19 aprile 2012
È uno dei Papi più "vecchi" della storia. Qualche acciacco, e ci mancherebbe altro, a ottantacinque anni, ma niente di più. Ma una voglia intatta di innovare, ascoltare, spiegare. Con la quieta passione, mai appariscente, e con la profondità che fanno da ordito e trama al tessuto del suo carattere. E con un’intatta, continua capacità di stupire. Ogni volta.Alla boa del settimo anno di pontificato, è proprio questa capacità di stupire che continua a marcare il ministero di Benedetto XVI. Anche di fronte alle crisi, anche di fronte ai passaggi più delicati, papa Ratzinger non ha mai perso la sua capacità di fare il passo capace di lasciare senza parole anche i critici più pervicaci. Come quando, con una battuta con i "suoi" seminaristi di Roma – «Anche oggi si parla molto della Chiesa di Roma, di tante cose, speriamo che si parli anche della nostra fede... e preghiamo il Signore, perché possiamo fare così che si parli non di tante cose, ma si parli della fede della Chiesa di Roma» – ha liquidato le chiacchiere più o meno da bar sulla sua salute o su pretesi "complotti". O quando, su tutt’altro versante, nel celebrare lo scorso ottobre il venticinquesimo anniversario del primo incontro delle religioni  ad Assisi, lui, il Papa che, raccontavano alcuni, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede era il più critico su quella scelta di Giovanni Paolo II, nel riconvocare nella città di San Francesco i leaders religiosi mondiali ha voluto aggiungere alla lista anche i non credenti. In tal modo non solo confermando, ma rilanciando l’intuizione di papa Wojtyla in una dimensione ulteriore, adatta più e meglio di prima ad interpretare le esigenze di un tempo in cui sempre più le religioni dimostrano di avere un ruolo chiave nello sviluppo.Anche per questo, ed è l’altra cifra che continua con sempre maggior forza a segnare il suo magistero, Benedetto XVI non perde occasione per ribadire la necessità assoluta, l’urgenza imprescindibile che l’Europa, e l’Occidente in generale, ritrovino nella fede che sta alle loro origini le ragioni e le motivazioni per costruire il futuro. In questo senso, il viaggio in Germania dello scorso settembre è stato un passaggio davvero illuminante, con il suo richiamo – forte, aspro quasi, comprensibile forse solo ricordando che parlava ai suoi connazionali – a guardare alle radici della fede, e non soltanto a una buona, pur efficientissima, organizzazione ecclesiale. Perché questo è il solo modo in cui i cristiani possono giustificare la loro presenza e il loro voler partecipare ai processi sociale; e a chiederlo non sono solamente le spinte della crisi, che pure rischiano di capovolgere ogni scala valoriale, ma, appunto, anche il futuro equilibrio di un mondo che, in molti modi, dimostra di avere "sete" di religioni.Non è un caso, in questo senso, che la Giornata della Gioventù dello scorso agosto, a Madrid, si sia, anche questa, rivelata in assoluto sorprendente. Un appuntamento che papa Benedetto ha in un colpo solo tirato fuori dal rischio di farlo cadere in una ripetitività rituale per trasformarlo con pochi tocchi – l’incontro con i giovani sacerdoti, le confessioni raccolte personalmente... – in un qualcosa di significativamente "altro", segno di una comunità matura, ancorché di giovani, chiamata a ispirare e costruire una nuova presenza della Chiesa.In una recente intervista a Korazym, monsignor Georg Gänswein, il segretario del Papa, osservava che «l’immagine che già da cardinale e poi, con un piccolo intervallo, anche come Papa, di Benedetto XVI è stata offerta, è in buona parte una distorsione» operata dalla stampa, non solo di lingua tedesca ma nel mondo, soprattutto di lingua inglese, sia in Gran Bretagna che in America del Nord, e «parzialmente anche in paesi di lingua francese e alla fine anche in Italia»; distorsione che «ha creato quasi una caricatura sia della persona che delle sue idee». Ripensando, in questo anniversario, anche solamente poche cose che abbiamo appena ricordato, sembra proprio che questa affermazione di Gänswein non possa che essere condivisa. E, aggiungiamo, sarebbe ora che qualcosa cambiasse.