Nel ventesimo secolo «uomini e donne credenti sono morti offrendo la loro esistenza per amore dei più poveri e deboli». E ancora oggi, nel ventunesimo, «in diversi contesti tanti nostri fratelli e sorelle permangono oggetto di un odio anticristiano». Lo ha ricordato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin presiedendo ieri sera a Roma la veglia di preghiera ecumenica promossa dalla Comunità di Sant’Egidio «in ricordo di quanti in questi ultimi anni hanno offerto la loro vita per il Vangelo». La cerimonia si è svolta nella Basilica di Santa Maria in Trastevere alla presenza del fondatore della Comunità Andrea Riccardi e del presidente Marco Impagliazzo.Anche quest’anno infatti, nel cuore della Settimana Santa, la Comunità di Sant’Egidio ha voluto far memoria della testimonianza di tanti cristiani che in numerosi luoghi del mondo sono fatti oggetto di persecuzioni, discriminazioni, privazione della libertà religiosa e finanche della vita. Mettendosi sulla scia delle parole di papa Francesco: «Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa di martiri». Nella sua omelia il cardinale Parolin ha ribadito che la forza manifestata dai testimoni della fede del nostro tempo «attraversa le nostre Chiese e le nostre comunità cristiane». «Sono – ha aggiunto – cattolici, ma anche ortodossi, evangelici, anglicani e ci invitano all’unità». In «tanti – ha osservato il porporato – sono stati sacrificati per il loro rifiuto di piegarsi al culto degli idoli del ventesimo secolo, il comunismo, il nazismo, l’idolatria dello Stato o della razza». Molti altri «sono caduti nel corso di guerre etniche o tribali». Mentre «alcuni hanno conosciuto la morte, perché, sul modello del buon Pastore, nonostante le minacce, hanno voluto rimanere con i loro fedeli piuttosto che venir meno alla propria missione».Ancora oggi, ha aggiunto poi il più stretto collaboratore del Papa, i cristiani «non vengono perseguitati perché a essi viene conteso un potere mondano, politico, economico o militare, ma propriamente perché sono testimoni tenaci di un’altra visione della vita, fatta di abbassamento, di servizio, di libertà, a partire dalla fede». Infatti «laddove l’odio sembrava inquinare tutta l’esistenza, essi hanno manifestato come "l’amore sia più forte della morte"». «Talvolta – ha poi sottolineato il segretario di Stato vaticano – è solo il nome di "cristiano" ad attirare l’odio, perché esso richiama la forza pacificante, umile, di cui essi sono portatori, come tanti volontari, laici o consacrati e consacrate, giovani e anziani, la cui vita è stata recisa mentre servivano generosamente la Chiesa e comunicavano l’entusiasmo della carità».Dopo l’omelia, e prima della preghiera e benedizione finale, nell’antica Basilica di Trastevere sono stati evocati i nomi e i cognomi dei tanti testimoni della fede che hanno dato la vita per il Vangelo nell’ultimo secolo. Cattolici e non. I tanti fedeli presenti hanno fatto memoria del gesuita Franz Var Der Lugt ucciso a Homs il 7 aprile, di don Andrea Santoro, di monsignor Luigi Padovese e di Shahbaz Bhatti, ma anche dei protestanti Peter Asakina e Irianto Kongokoli. Dell’arcivescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero e anche di sei fedeli evangelici uccisi sempre nel Salvador. Di Annalena Tonelli e suor Leonella Sgorbati, ma anche di pastori evangelici kenyani e nigeriani. Degli spagnoli uccisi in odio alla fede durante la Guerra civile, ma anche degli ortodossi come il patriarca russo Tichon. Per l’Italia, infine, sono state ricordate le figure di don Giuseppe Diana, del beato Pino Puglisi, di don Graziano Muntoni, di don Renzo Beretta, del giudice Rosario Livatino. E di don Lazzato Longobardi, ucciso a Sibari lo scorso 2 marzo.