Chiesa

Gmg. Il Papa: se sei stanco non riposarti, mettiti in cammino

Riccardo Maccioni mercoledì 18 settembre 2024

Il Papa tra i giovani nel 2023 a Lisbona

Il cristianesimo è la religione dei paradossi. Ci insegna che per essere grandi bisogna farsi piccoli, che si arricchisce chi condivide i propri beni e, anche, che ci si può riposare stancandosi. A patto, naturalmente, che si tratti di fatica “buona”, quella che si accumula spendendosi per gli altri, sporcandosi le mani, condividendo gioie e sofferenze senza nascondersi dietro i paraventi della vergogna e della diffidenza. Il Papa lo scrive a chiare lettere nel Messaggio per la XXXIX Giornata mondiale della gioventù: la soluzione alla stanchezza non è restare fermi per riposare ma appunto, paradossalmente, mettersi in cammino. Dove il segreto sta nello scopo del viaggio o, meglio, nello stile che lo caratterizza: essere o quanto meno aspirare a diventare “pellegrini di speranza”. A pensarci bene, la ricetta vale per tutti, non solo per i ragazzi e le ragazze. Perché quando sei spinto dal desiderio di novità, dalla freschezza di un progetto collettivo, dalla consapevolezza di essere parte di un servizio al bene, scompare persino il bisogno di dormire, ti senti come una nuvola sospinta dal vento estivo che promette luce, serate all’aperto, allegria di amici attorno a un tavolo in riva al mare.
Ma parlando ai giovani in vista della loro Giornata, che sarà celebrata il prossimo 24 novembre, papa Francesco fa un passo avanti, ed è un grande passo. Spiega che l’ingrediente per rendere la fatica feconda è la “speranza”, concetto messo a corona di tutta la sua riflessione e motore dell’intero cammino. Una parola che non indica un generico ottimismo e neanche cancella il dolore della morte e della malattia ma li riempie di un senso nuovo, diverso, figlio della sicurezza di non essere soli ma sempre stretti nell’abbraccio misericordioso di Dio. E viene in mente il Guernica di Picasso che mette al centro dell’orrore un fiore, fa riflettere sulla virtù bambina raccontata da Peguy, ci ripresenta davanti agli occhi l’immagine, che è in tanti quadri, dell’áncora fissata alla riva dell’aldilà. La catena però, il manico che la tiene, si trova nell’oggi della nostra vita in cui il Padre buono, osserva il Papa, vuole infondere una forza nuova. Si tratta allora di svuotarsi il più possibile del proprio io, per farsene riempire e così acquisire uno «sguardo lungo», quello necessario a ricordarci cosa ci attende dopo, quando il sogno diventerà presenza e il mistero rivelazione piena, completa. Senza tuttavia per questo rinunciare a vivere ma anzi riempiendo di più coraggio, di più convinzione, di più altruismo, il cammino quotidiano dei giorni. Non una semplice vacanza per turisti, bensì un viaggio interiore, un “pellegrinaggio” scrive Francesco, che significa immergersi nei luoghi incontrati, «farli parlare, renderli parte» della nostra ricerca di felicità. L’obiettivo immediato è il Giubileo del 2025, il senso del tutto è lo sguardo che non si allontana mai dal Signore, è mettersi alla sua scuola, fiduciosi, anzi sicuri (chi crede), che è Lui il riposo nella stanchezza. Non si tratta di negare la fatica, dunque, ma di andarne alla radice, di chiamarne per nome le cause, siano una crisi di crescita, l’ansia di non farcela, il grigio che sporca lo specchio aperto sul domani. La tentazione a volte sarebbe di rompere quell'immagine riiflessa, perché può essere meglio non vedere nulla anziché immaginare cosa si nasconde dietro le ombre. Ma non servirebbe a niente, si finirebbe semplicemente per fermarsi. L’invito è invece a continuare a camminare, anche nell’apparente buio, per scoprire che poco per volta impari a riconoscere le cose con la vista non degli occhi ma del cuore. Che poi è il linguaggio della fede, è il vocabolario della carità, è il serbatoio della speranza. Attesa di quel che sarà, parola che diventa vita, luce perennemente accesa sulla strada del ritorno a casa.