La Giornata. «Vincere la tratta, con i ragazzi». Il sogno di suor Abby arriva dal Papa
Suor Abby Avelino
Gli occhi, dunque, sono puntati sui giovani. Cinquanta, rappresentanti delle diverse organizzazioni impegnate sul fronte della lotta allo sfruttamento, che da venerdì fino all’8 febbraio si riuniranno a Roma in occasione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta per raccontare e condividere le loro esperienze. Nell’Urbe sarà una settimana di incontri e di eventi, coordinati dalla rete internazionale delle religiose Talitha Kum: il culmine domenica, con la partecipazione all’Angelus del Papa in Piazza San Pietro. Poi, martedì 6 febbraio, il grande flash-mob contro la tratta a Piazza Santa Maria in Trastevere alle 16.15 e subito dopo, dalle 17.30, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, la Veglia ecumenica in cinque lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo e portoghese). Giovedì 8 febbraio, in occasione della Giornata vera e propria, istituita dal Papa nel 2015, la preghiera contro la tratta si aprirà al mondo intero grazie alla Rete: 24 ore di “pellegrinaggio online” attraverseranno tutti i continenti e i fusi orari con un evento trasmesso in diretta streaming (sempre in cinque lingue) su www.preghieracontrotratta.org. L’invito a tutti è di dedicare al tema un tweet usando l’hashtag #prayagainsttrafficking. L’iniziativa è coordinata da Talitha Kum, la rete internazionale anti-tratta che conta più seimila suore, amici e partner, ed è promossa dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg) e dall’Unione dei Superiori Generali (Usg), in collaborazione con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il Dicastero della Comunicazione, il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Caritas Internationalis, il Movimento dei Focolari, il Jesuit Refugee Service, la Comunità Papa Giovanni XXIII, la Federazione Internazionale Azione Cattolica e altre realtà e sigle.
Sentiva la voce dei bambini filippini e delle loro mamme, Abby Avelino, quando lavorava come ingegnere meccanico a Los Angeles. La voce gridava, portando con sé storie terribili di povertà e di sfruttamento, e finiva sempre per straziarle il cuore. Finché i sacrifici compiuti da sua madre e dai suoi fratelli più grandi per farla studiare, per portarla via dalle Filippine e offrirle un futuro negli Stati Uniti, sono passati in secondo piano: alla voce, che nel frattempo era diventata una vocazione, Abby doveva rispondere.
Tra la decisione di prendere i voti nel 2008 a New York e il coordinamento internazionale della grande rete Talitha Kum assunto a fine 2022, con lo spostamento a Roma, suor Abby da quei bambini e da quelle mamme che la chiamavano non s’è staccata mai: in prima fila, accanto ai migranti, contro la tratta. Che è il grande male da sconfiggere «mettendosi in rete, agendo». E che è la ferita su cui poseranno lo sguardo l’8 febbraio papa Francesco e la Chiesa in occasione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione, ricordando santa Giuseppina Bakhita.
Suor Abby, un incarico importante quello che le è stato affidato. Come lo sta vivendo dopo tanti anni trascorsi sul campo da missionaria?
La missione è la stessa, missionaria lo sono nel cuore. Solo, faccio missione in modo diverso, coordinando appunto l’impegno delle mie sorelle. Ho ancora qualche problema con l’italiano, che però non mi spaventa. Anche quando sono arrivata per la prima volta in Giappone dalle Filippine non conoscevo una parola di quella lingua...
Il suo percorso in Talitha Kum è cominciato proprio in Giappone, dov’è rimasta tanti anni.
È così. Una volta presi i voti decisi di tornare nelle Filippine: sentivo che la mia terra, con la cultura e le radici che non avevo mai abbandonato anche dopo tanti anni negli Stati Uniti, aveva bisogno di me. In particolare sentivo la voce dei più poveri e degli sfruttati: ho conosciuto bene la povertà nella mia vita, mio padre è morto quando ero piccola, mia madre ha dovuto fare i salti mortali per mantenerci, due o tre lavori alla volta, e così i miei fratelli e sorelle. Abbiamo dovuto lottare per sopravvivere come accade a tanti nel mio Paese, che è poverissimo. È questa povertà che spinge le persone a spostarsi, a cercare fortuna altrove. E i migranti, che sono le prime vittime della tratta, sono stati da subito la mia missione: fui mandata dalle suore domenicane di Maryknoll in Giappone, dove sono migliaia i filippini che arrivano ogni anno per lavorare. Tra loro la maggior parte sono donne, che spesso con uomini giapponesi si sposano. Le incontravo nella parrocchia di Sant’Ignazio, nel cuore di Tokyo. Arrivavano per la Messa, quando scoprivano che venivo dal loro Paese iniziavano a raccontarmi la loro storia. E la storia era sempre la stessa: sfruttamento, violenze domestiche, abusi. Molte di loro non sapevano nemmeno come e perché erano arrivate, in Giappone. E tutte cercavano aiuto, protezione. C’erano anche i loro bambini: mandati nelle Filippine appena nati e poi fatti tornare, emarginati, a loro volta facili esche per i trafficanti d’esseri umani e per gli sfruttatori. Serviva uno spazio dove accoglierli, servivano una rete e un sistema che potesse salvarli e ridare loro dignità. Erano le loro voci che avevo sentito, era per loro che avevo scelto la strada della missione. Fu allora che incontrai Talitha Kum e partì il mio cammino: quello spazio prese forma più tardi, a Kawasaki, lo chiamammo “Kalakasan”. La rete di aiuto si ingrandì, la Conferenza episcopale iniziò a collaborare anche con le istituzioni giapponesi, iniziammo a salvarle davvero, le vittime di tratta.
E come si salvano?
Ascoltando, innanzitutto, come donne, come sorelle. Mettendo in campo competenze, attraverso un percorso di formazione complesso che è alla base di ogni adesione a Talitha Kum (la tratta bisogna riconoscerla, assieme agli strumenti giuridici con cui contrastarla). E poi facendo rete: tra noi, con le associazioni locali e le autorità. La forza di Talitha Kum d’altronde è questa: si parte da una richiesta di aiuto, si lavora con la consapevolezza che non bisogna mobilitare grandi agenzie o potentati, basta alzare il telefono e mettere in moto una persona in carne ed ossa, su cui noi possiamo contare in ogni parte del mondo. Grazie a questa rete fatta di persone ogni anno salviamo più di tremila vittime.
La tratta ha cambiato geografie e dinamiche. Cosa sta succedendo?
Dove ci sono grandi flussi di persone che si spostano, lì la tratta fiorisce. Le aree più a rischio in questo momento sono il Nord Africa e l'Asia meridionale, in particolare India e Bangladesh, Birmania e Thailandia. Ma lontano da confini fisici e territori, il fenomeno sta esplodendo online, attraverso i social network. Gli sfruttatori agganciano sempre più spesso le proprie future vittime in Rete, con false promesse e raggiri. Ed è in Rete che deve mettere nuove radici la nostra missione.
È il motivo per cui state cercando anche come Talitha Kum di coinvolgere i più giovani. A Roma, da questo venerdì fino all’8 febbraio, ne arriveranno cinquanta per la Giornata di preghiera col Papa...
Il ruolo dei ragazzi è fondamentale, cerchiamo di coinvolgerli già a partire dai 18 anni come “giovani ambasciatori” con corsi di formazione dedicati. E ambasciatori lo sono davvero, non solo fisicamente, tra i loro coetanei, nei villaggi e nelle zone più remote dei Paesi poveri, lì dove la maggior parte dei ragazzi decidono di partire perché non vedono futuro, finendo per essere facili bersagli per i trafficanti d’esseri umani. I ragazzi ci permettono di essere presenti in Rete, online, sui social network, intercettando i flussi digitali della tratta e lavorando sul fronte della prevenzione.
Che cosa consegnate al Papa?
Questo grande lavoro di rete. L’energia incredibile di questi ragazzi, che sono la speranza di poter sconfiggere la tratta in futuro. E il sogno di un mondo senza tratta, per cui è importante la preghiera, che è il cuore della Giornata. Dal Papa avremo l’incoraggiamento a proseguire nel nostro impegno, tanto necessario quanto profonda è ancora la ferita del traffico di esseri umani.