L'inchiesta. Santità in politica, difficile ma si può secondo Francesco
Il sindaco “santo” di Firenze, Giorgio La Pira, di cui è in corso la causa di beatificazione
Anche se la cronaca degli ultimi anni sembra suggerire il contrario, si può diventare santi persino in politica. E ad affermarlo è il Papa nella esortazione apostolica Gaudete et exsultate che parla proprio della santità. Gli esempi del resto non mancano: san Tommaso Moro, che Giovanni Paolo II ha proclamato patrono dei politici, l’imperatore Carlo I d’Asburgo, beato, così come è beato Alberto Marvelli, mentre di Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira e Robert Schuman è in corso il processo di beatificazione. L’elenco, anche se non lunghissimo, non finisce certo qui. Ma quello che è più interessante è che a leggere attentamente le pagine del documento di Francesco, si può ritrovare – insieme ad altri percorsi virtuosi, già messi in evidenza anche su questo giornale – un vero filo rosso della santità politica e sociale, seguendo il quale si viene a configurare un vero e proprio itinerario di santificazione. «Il Papa – fa notare monsignor Giuseppe Lorizio, ordinario di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense – fa due richiami: da un lato a non bypassare l’azione politico-sociale, ma piuttosto a viverla anche come un luogo nel quale si esprime la fedeltà al Vangelo. E dall’altro ci ricorda che la politica può essere un campo di santificazione sia per gli eletti che per gli elettori».
Il punto di partenza testuale di questo itinerario si trova nel n. 14 dell’esortazione. Francesco esemplifica alcuni campi di santificazione. E tra l’altro scrive: «Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali». E del resto Bergoglio aveva già toccato il tema in una omelia di Santa Marta il 19 giugno 2015: «Essere amministratori onesti del bene comune può renderci santi», aveva affermato in quella occasione. Anche se subito dopo aveva aggiunto: «Ma non è facile». Certo, nessun percorso di santificazione lo è, e quello attraverso la politica in particolare. Eppure il Papa insiste. E il cuore del suo discorso, rispetto a questo particolare aspetto, secondo Lorizio si trova nel capitolo III della Gaudete et Exsultate, dedicato alle beatitudini. «Innanzitutto – afferma il teologo – quella di coloro che hanno fame e sete di giustizia. Un buon politico, a qualunque livello agisca (dal consiglio comunale al Parlamento europeo, all’Onu), non solo deve adoperarsi per colmare questa fame e sete, ma deve averne egli stesso, per operare bene». E infatti il Papa afferma a questo proposito (n.79): «Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità». E ancora: «Tale giustizia incomincia a realizzarsi nella vita di ciascuno quando si è giusti nelle proprie decisioni, e si esprime poi nel cercare la giustizia per i poveri e i deboli». Bergoglio cita Isaia: «Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». E ognuno si interroghi su chi siano oggi gli oppressi, gli orfani e le vedove del nostro sistema sociale.
Ugualmente importante è, prosegue Lorizio, la beatitudine degli operatori di pace. «In questo senso non dobbiamo pensare solo alla pace in termini geopolitici mondiali, ma anche in relazione alle diverse componenti della società, o tra le diverse generazioni». Parole che fanno pensare ad esempio a temi annosi e complessi come la revisione del sistema pensionistico, la redistribuzione delle ricchezze tra i ceti sociali, la promozione di una autentica cultura del lavoro, che prescinda da forme di assistenzialismo più o meno ammantate di buone intenzioni. L’esortazione apostolica al n. 89 conferma: «La pace evangelica non esclude nessuno, ma integra anche quelli che sono un po’ strani, le persone difficili e complicate, quelli che chiedono attenzione, quelli che sono diversi, chi è molto colpito dalla vita, chi ha altri interessi».
Il tutto è poi fortemente connesso con la beatitudine dei perseguitati per la giustizia. Lorizio commenta: «Oggi sembra che essere dalla parte della giustizia, significhi identificarsi con il giustizialismo. E invece giustizia è qualcosa di più del mero ambito dell’attività giudiziaria. È innanzitutto dare a ciascuno il suo e questo implica quell’andare “controcorrente” che il Papa mette in evidenza proprio nel capitolo III del documento. In altri termini significa scontrarsi contro i poteri che perseguono solo i loro interessi privatistici».
C’è poi, nel testo di Francesco, un ulteriore livello del percorso che merita di essere esplicitato. Nella parte in cui parla di «ideologie che mutilano il Vangelo» (n.101 e seguenti), il Papa – sottolinea Lorizio – «mette in guardia dal «diffidare dell’impegno socio-politico degli altri », considerandolo «superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista e populista » o «relativizzandolo come se ci fossero altre cose più importanti». A questo proposito Francesco scrive: «La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata [...]. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto».
Allo stesso modo, afferma il docente, «non bisogna separare l’azione politica dalla relazione personale con il Signore e dall’unione interiore con la grazia». Il che significa che, come qualsiasi altro percorso di santità, ricorda il teologo, «anche quello di chi si dedica alla politica come servizio non può prescindere dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera e dalla frequenza ai sacramenti». Infatti, «chi ha maggiore responsabilità è maggiormente esposto all’azione della corruzione, il grande male della politica, il “super peccato” di cui parla spesso il Papa. E allora ci vuole un surplus di santità, per poter resistere a questa tentazione di potere e di denaro».
Inoltre, continua Lorizio, «non si tratta per il cristiano di compiere una scelta puramente individuale, ma di viverla in rapporto alla comunità ecclesiale, in uno scambio continuo e fecondo». E qui viene in primo piano il tema della formazione dei laici cristiani, di recente richiamato anche dal presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti. «Se non si ricomincia anche a livello di movimenti, di associazioni, di parrocchie, rischiamo davvero che la politica venga disertata dai fedeli, con il rischio di consegnarla a chi persegue solo i propri interessi. La parola chiave deve essere “educare alla partecipazione”, perché non tutti possono fare i governanti, ma tutti siamo elettori».
C’è dunque un percorso di santificazione anche per gli elettori? Lorizio risponde affermativamente: «In una democrazia rappresentativa come la nostra, l’esercizio del voto non è delega deresponsabilizzante o, come vorrebbe qualcuno, scivolamento verso una irrealizzabile e demagogica democrazia diretta. È esercizio costante di vigilanza che richiede un grande ruolo di informazione (schivando fake news e mezze verità), fatica quotidiana di essere attenti a ciò che accade e, nei limiti delle proprie responsabilità, provare a cambiarlo». In tal senso, conclude Lorizio, «partecipazione è il contrario di mobilitazione, che viene fatta episodicamente con il rischio che poi ognuno torni a casa e tutto resti come prima». Come dire che la santità, anche in politica, si vive giorno per giorno. Per gli eletti e per gli elettori.