Un documento del magistero «poco conosciuto» e forse «snobbato». A 25 anni dalla sua pubblicazione (il 15 agosto 1989) l’esortazione apostolica
Redemptoris custos «non viene inserita, come dovrebbe, all’interno di un quadro teologico che parla del mistero dell’Incarnazione in vista della redenzione. Un mistero nel quale san Giuseppe è un protagonista».Padre Tarcisio Stramare, oblato di San Giuseppe, la congregazione fondata ad Asti da san Giuseppe Marello, è uno dei maggiori studiosi mondiali della figura di san Giuseppe e non nasconde la sua delusione per come «il custode del Redentore» viene trattato.
Cosa ha significato nel magistero la Redemptoris custos, di cui quest’anno ricorrono i 25 anni dalla pubblicazione?Si inserisce in un filone caro a Giovanni Paolo II, quello della Redenzione. E ben tre sue encicliche riguardano figure importanti di questo mistero: Gesù (
Redemptor hominis del 4 marzo 1979), Maria ( Redemptoris mater del 25 marzo 1987) e la Chiesa (
Redemptoris missio del 7 dicembre 1990). Per san Giuseppe è stata scelta una esortazione apostolica e in molti hanno pensato che avesse minor rilevanza, sbagliando. La figura di san Giuseppe è pienamente inserita in questo mistero dell’Incarnazione. Lo dice chiaramente il testo: «Di questo mistero divino Giuseppe è insieme a Maria il primo depositario» e «partecipa a questa fase culminante dell’autorivelazione di Dio in Crist, e vi partecipa sin dal primo inizio». E ancora: «Egli è colui che è posto per primo da Dio sulla via della peregrinazione della fede, sulla quale Maria andrà innanzi in modo perfetto».
Quindi un ruolo tutt’altro che di contorno, quello di san Giuseppe.Non ha solo servito Gesù nella sua fanciullezza. Ha servito anche la sua missione redentrice mediante la sua paternità e il suo matrimonio con Maria. Ecco perché parlo della necessità di rileggere e rivalutare quell’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II.
Recentemente, però, papa Francesco ha disposto che il nome di san Giuseppe sia inserito nelle preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano. Un passo importante?L’inserimento nel Messale Romano fu stabilito da Giovanni XXIII e ora se ne dispone l’allargamento ad altri canoni. Mi pare positivo, anche se dovrebbe essere collocato in tutti i canoni proprio per il ruolo svolto nel mistero dell’Incarnazione.
Papa Francesco ha mantenuto nel proprio stemma anche il nardo, che simboleggia san Giuseppe. Segno di una devozione significativa?Nel suo stemma contiene l’intera santa famiglia, con i simboli anche di Gesù e di Maria. Mi pare importante anche l’approccio globale, proprio in questo momento nel quale parliamo molto di famiglia.
Altra coincidenza il fatto che l’inizio del pontificato di Francesco sia iniziato proprio il 19 marzo 2013, solennità di san Giuseppe. Come leggere questo evento?Penso sia un evento provvidenziale. Certo nella sua omelia, che partiva proprio dalla memoria liturgica di quel giorno, si possono trarre alcune linee d’azione che sembrano caratterizzare il suo pontificato. Occorre ancora attendere per una analisi completa, ma certo aver sottolineato, partendo da san Giuseppe, l’importanza del servizio alla Chiesa è significativo. Un servizio come quello di Giuseppe che, come diceva il nostro fondatore san Giuseppe Marello, ha «fatto gli interessi di Gesù». Interessi che erano la sua missione salvifica.
Ma cosa dice la figura di san Giuseppe al cristiano di oggi?Quello che ha ben sottolineato il Papa in quell’omelia del 19 marzo 2013. Insegna ad avere una costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; essere più sensibile alle persone che gli sono affidate, leggere con realismo gli avvenimenti, essere attento a ciò che lo circonda, e prendere le decisioni più sagge. E poi una grande tenerezza, che non è la virtù del debole.