Verso la Gmg . Rosini: i giovani & la vocazione, così prendono il volo (e noi con loro)
Caravaggio: La vocazione di san Matteo (particolare)
Pensando alla Gmg di Panama e al Sinodo dei giovani, don Arturo Cattaneo ha raccolto insieme ad Alessandro Cristofari e Cristina Vonzun una serie di testimonianze su scelte di vita che interrogano i giovani (e non solo). Del volume curato dal sacerdote ticinese, introdotto da monsignor Rino Fisichella ed edito da La Fontana di Siloe ("Inatteso. Testimonianze che pro-vocano i giovani", 318 pagine, 22 euro), ecco il capitolo conclusivo firmato da don Fabio Rosini.
Le radici della mia fede sono dovute ai miei genitori. Da adolescente ho perso la fede, ma quando da giovane il Signore mi riacciuffò, mi ritrovai dentro un humus cristiano dovuto a quello che loro mi avevano fatto vedere con il loro impegno nell'esperienza dell'Équipe Notre Dame e nella parrocchia; quel tesoro che non sapevo di possedere, mi aveva in realtà continuato a guidare più di quanto fossi cosciente.
Ho aperto il mio primo libro "Solo l'amore crea" con una dedica ai miei genitori, che non ci sono più, constatando che con loro in primis, e poi con tutta la vita, i conti non tornano.
È così: i conti non tornano. Quello che faccio per Gesù Cristo è nulla rispetto a quello che Gesù Cristo ha fatto e fa per me. Un oceano di generosità che Lui mi usa ogni giorno. La mia sorte fortunata di cristiano è avere un alleato incredibile. Ho Lui al mio fianco. Guardo Cristo Crocifisso e scopro che per Lui valgo più della sua vita. Qualche volta uso un'immagine facile per farmi capire. Se San Marino dichiarasse guerra all'Italia ci faremmo una gran risata, ma se prima San Marino si alleasse con gli Stati Uniti non rideremmo più... Le opere grandi si fanno insieme a Dio, con il suo sostegno, da figli amati. Da soli non faremmo che cose mediocri, fatue, destinate a non durare. Noi abbiamo potenzialità meravigliose se partiamo da quanto Dio ci vuole bene. Se partissimo da noi stessi saremmo una delusione.
Per questo la preghiera è così importante. Con essa, prima di andare a combattere, ci ri-immergiamo nell'alleanza con Dio. Purtroppo spesso il cristianesimo viene compreso come una somma di regole, quando invece esso è una relazione, è innamorarsi di qualcuno, è un dialogo. Dio non è norma, è Padre.
Scommetto sui giovani, perché hanno una bellezza interna strepitosa, basta dare loro una chance. Hanno una straordinaria voglia di vivere, ma va concessa loro l'opportunità di esprimersi, dando loro credito. Essi vivono in un mondo ambiguo e scoraggiante. Dobbiamo insegnare loro ad amare e a lasciarsi amare, il che non è facile. Se viene fatto questo, loro volano.
Con gli incontri su "I Dieci Comandamenti" ho cercato, fin dal 1993, di far conoscere ai giovani il volto di Gesù, aiutandoli a discernere la Volontà di Dio, perché sappiano scoprire e prendersi "la parte migliore", intesa come la propria vocazione.
Quando, dopo l'ordinazione sacerdotale, mi è stato chiesto di parlare ai giovani, non sapevo come farlo, perché da giovane avevo lasciato il cristianesimo: non sapevo parlare a degli adolescenti che stavano in chiesa, dovevano insegnarmelo loro! Allora ho cominciato a chiedermi: chi sono questi ragazzi con cui devo parlare? E mi sono risposto che erano una generazione senza padre. Ragazzi che avevano visto la paternità solo come il riempimento della casella del ruolo, non come esercizio reale di amore paterno. Di conseguenza non avevano ricevuto i "no" paterni, non avevano il limite, non avevano il confine. Oggi si parla di "società liquida", ma io direi che essa è gassosa, il liquido almeno si identifica in uno spazio, si vede, anche se ha bisogno di un contenitore. Ma il gas non si vede.
Tanti ragazzi non ricevono paternità, ma hanno l'informatica, vivono nell'era digitale che cambia un po' tutto nella loro vita. Ora si è imposta anche la scissione tra la realtà e la virtualità, stiamo passando alla cultura del "reality", ove il reale è ciò che è narrato nella serie televisiva, non ciò che vivo nel mondo fisico. Una serie televisiva può influire sulla mentalità e cambiare ad esempio l'idea del matrimonio, canonizzando in un attimo enormi mutazioni che richiedono ben altra analisi, come il matrimonio gay o simili. Ci troviamo così con ragazzi che hanno un orizzonte culturale evanescente, senza regole, senza limiti, dove non c'è una molecola unita ad un'altra, in stato gassoso, appunto.
È un cambio epocale, nel quale sono crollate due istanze formative fondamentali: la famiglia - che dagli anni sessanta in poi cambia e diventa edonista e superficiale, portatrice di valori inconsistenti - e la formazione ecclesiale che non regge il confronto con il linguaggio del mondo. Il "prodotto" della vita cristiana viene "venduto" in modo obsoleto, fra il sentimentale e il moraleggiante; di conseguenza il battesimo diventa qualcosa di poco rilevante, e così tutti i sacramenti.
I giovani d'oggi sono poveri, ma forse questa più che un'emergenza è una potenzialità.
Ci sono famiglie cristiane, ovviamente, ma sono un elemento spurio, anormale. Il problema è proprio la grammatica della vita. Nel "pescare" vocazioni cristiane generalmente pensiamo che ci manchino i pesci, ma ciò che manca è proprio l'acqua in cui pescare! Pensiamo che non abbiamo vocazioni perché i giovani non sono generosi. Non è vero, sono generosissimi, se trovano uno spazio per vivere un processo di identificazione.
Ecco perché pensai di iniziare un processo valorizzante che desse dignità e coraggio ai giovani. Chiesi ad un piccolo gruppo: "Che ne dite se vi spiego i 10 comandamenti con calma?". I ragazzi erano entusiasti. Dopo pochi mesi erano 30, dopo un anno erano 100, fino ai numeri attuali. Nelle catechesi cerco di spiegare bene ogni cosa, in modo che i ragazzi riflettano. Non do niente per scontato, e quando parlo mi ricordo di quando ero ateo e mi ascolto con il mio "orecchio" estraneo e mi dico: "Cerca di convincermi…" - io resto sempre un po' il primo scettico da convincere.
Da 24 anni, nelle parrocchie in cui sono stato da vice-parroco e da parroco, e ora per il servizio alle vocazioni, porto avanti questa esperienza sulle Dieci Parole a cui partecipano molte centinaia di giovani. Nei vari incontri, viene pian piano "sviscerato" ogni comandamento per farlo comprendere a chi è lontano dalla Chiesa e far capire quanto i comandamenti siano meravigliosi e non limitanti.
Per mezzo di questo primo approccio, si promuove nei giovani l'emozione dell'incontro con Gesù Cristo, e questo è un lavoro soprattutto di liberazione da una vernice di estraneità e di noia, che mostri quanto la fede sia più bella di ciò che normalmente si pensa o si descrive! Allora, partendo dal fatto che è meraviglioso seguire il Signore Gesù Cristo, si passa ad una seconda fase che è il come fare per seguirlo. Questa è la fase in cui si cammina con il Vangelo di Giovanni, nell'articolazione dei suoi sette segni, per consentire un'educazione cristiana più personalizzata e fraterna, in piccoli gruppi di giovani accompagnati da una coppia cristiana.
Resta comunque primario il compito di annunziare Gesù Cristo e farlo capillarmente, per questo stiamo attuando iniziative nelle prefetture e nelle parrocchie per far sì che i giovani vivano esperienze di impatto efficace.
Notare bene che per aver credito presso i giovani io non "abbasso il prezzo", anzi piuttosto direi che lo alzo. Dico spesso: tu non devi aver paura che Dio ti prenda la vita, tu devi aver paura che non te la prenda. Il vero terrore è che tu resti come sei, che non impari ad amare mai più di quanto ami oggi, di non andare un millimetro oltre quello che già sei, e non prepararti ad essere uno che farà felice la donna che lo sposerà, di non essere qualcuno il cui figlio dirà: "Ho un padre fantastico". Questo devi temere. Perché questo vuole fare Gesù Cristo con te e tu potresti dirgli di no.
Ci sono almeno un paio di modi sbagliati di rispondere al problema della carenza di vocazioni: innanzitutto pensare che le vocazioni siano solo quelle sacerdotali. No! Il problema è la chiamata cristiana, la fede cristiana, è il vivere da figli di Dio, che è l'unica vera vocazione, e si concretizza dove si concretizza, nel matrimonio, nel sacerdozio o dove sia. In secondo luogo, ritenere che sia un problema a cui possa rispondere un singolo prete, mentre tutta la comunità è coinvolta. Non si pensa a seguire fino in fondo il Signore Gesù se non si vede qualcuno che lo fa. E se vedi dei cristiani, puoi aprirti, ma se non vedi lo Spirito Santo agire nelle persone, forse uno finisce per pensare a farsi prete per motivi assolutamente incongruenti. Perciò devo collaborare in mille forme, mettermi a disposizione, secondo le mie esperienze e le energie che Dio mi dà, per lavorare insieme a sacerdoti, genitori ed educatori delle Parrocchie. Il percorso vocazionale non è uno spot, ma l'evoluzione naturale di un processo: la formazione cristiana, che è il vero e proprio compito da svolgere.
Non dobbiamo cadere nella trappola del lasciarci condizionare dallo status quo delle cose. Vanno invece fatte proposte radicali, serie, che mirino a toccare il centro del cuore spersonalizzato di questa generazione che, per motivi strutturali e soprattutto mediatici, innesca nei giovani un sentirsi banali, non essere nessuno, non contare niente. Dobbiamo, quindi, far intendere che la chiamata alla fede cristiana è una chiamata "personale" alla straordinarietà. Il nemico del cristianesimo è proprio la mediocrità, il fare le cose senza amore, senza zelo. Dobbiamo mostrare ai giovani la bellezza di una vita alta, nobile, preziosa agli occhi di Dio.
Sia benedetto Dio per qualsiasi esperienza che possa esser fatta nella Chiesa, l'importante è che sia cattolica! Sia benedetto Dio per i movimenti, le associazioni e tutto il resto! Tutto quello che c'è all'interno della Chiesa va incoraggiato e portato avanti. Sicuramente non è questo il nemico.
Non è facile definire quale sia oggi la situazione attuale delle vocazioni, perché è un mondo più variegato di quanto sembri, e non ci si può limitare al semplice fatto di calcolare quanta gente entri in seminario. E questo poiché non è tanto una questione di numeri. Se noi portassimo avanti una politica vocazionale indiscriminata, senza selettività, i numeri potrebbero essere molto più grandi. Ma negli ultimi anni il numero degli ingressi in seminario è diminuito, perché è stato applicato un metodo molto più rigoroso di selezione all'entrata. Oggi c'è una maggiore attenzione alla persona. Prima di poter entrare bisogna seguire un percorso vocazionale, nel quale si svolge una verifica autentica e seria. Non abbiamo bisogno di una quantità indiscriminata di seminaristi, abbiamo bisogno di "qualità" o meglio ancora di "verità". Se la Provvidenza chiama questo ragazzo, bene, sennò, Dio ci salvi! Stiamo lavorando in questa direzione. Il parametro adesso non è più "ho il dubbio di avere una vocazione e quindi entro in seminario", ma: nel dubbio faccio un percorso che mi porti alla chiarezza. Prima di questa non si fa proprio niente.
Auguro a tutti che cresca la formazione cristiana, che aumenti il numero di esperienze, di qualsiasi tipo, in cui le persone possano essere educate cristianamente, diventare discepoli di Cristo in maniera più compiuta. Allora sicuramente avremo tante e belle vocazioni!