Chiesa

Il ricordo. Roncalli: servizio in caserma prezioso per entrare nell’animo umano

Gianni Cardinale martedì 15 aprile 2014
Giovanni XXIII, il Papa della grande e profe­tica enciclica «Pacem in terris», è forse l’unico Pon­tefice di cui si conservano fo­to in divisa o in tonaca con le stellette. Tra il 1901 e il 1902, infatti, il ventenne Angelo Giuseppe Roncalli sospende per un anno i suoi studi al Se­minario romano per il servi­zio militare compiuto in Ber­gamo, dove si congedò con il grado di sergente. Il 24 mag­gio 1915, poi, sacerdote da un decennio, allo scoppio della Grande guerra è richiamato in servizio militare con il gra­do di sergente di sanità, pres­so l’Ospedale Militare Prin­cipale di Milano. Trasferito successivamente presso gli Ospedali militari sussidiari di Bergamo, il 28 marzo 1916 è nominato cappellano milita­re, col grado di tenente.  Roncalli ha scritto e parlato più volte della sua esperien­za militare. Particolarmente significativo rimane tuttavia il discorso che, da Papa, ten­ne davanti ai membri del­l’Associazione nazionale ita­liana dei cappellani militari in congedo, ricevuti in u­dienza l’11 giugno 1959 pres­so la Grotta di Lourdes nei Giardini Vaticani.  Nell’occasione il Pontefice, che verrà canonizzato il pros­simo 27 aprile, spiega di non voler «rifare» la storia, «così ricca di insegnamenti», di quei due periodi della sua vi­ta, storia «già largamente di­vulgata e un poco favoleg­giata dai giornali». Tuttavia Giovanni XXIII ricorda che il primo servizio militare «fu anzitutto per noi assai utile e fecondo, perché, permetten­doci una vasta conoscenza di persone, in condizioni tutte particolari di vita, ci diede la preziosa possibilità di pene­trare sempre più a fondo nel­l’animo umano, con incalco­labile giovamento per la no­stra preparazione al ministe­ro sacerdotale». Per papa Roncalli quindi quella è sta­ta una epoca «di spirituale ar­ricchimento, a cui si aggiun­ge l’opera costruttiva della disciplina militare, che for­ma i caratteri, plasma le vo­lontà, educandole alla ri­nunzia, al dominio di sé, al­l’obbedienza ». Parlando poi del periodo passato come cappellano negli ospedali durante la Grande guerra, il prossimo santo lo definisce «indimenticabile»: «Esso ci fece raccogliere nel gemito dei feriti e dei malati l’uni­versale aspirazione alla pa­ce, sommo bene dell’uma­nità». «Mai come allora – ag­giunge – sentimmo quale sia il desiderio di pace dell’uo­mo, specialmente di chi, co­me il soldato, confida di pre­pararne le basi per il futuro col suo personale sacrificio, e spesso con l’immolazione suprema della vita.  Nel suo discorso del 1959 il Papa che ha indetto il Conci­lio Vaticano II spende una parola a favore della «figura del cappellano militare, che rappresenta un aspetto nuo­vo e preziosissimo del mo­derno apostolato». Per Gio­vanni XXIII «i cappellani di ieri e quelli di oggi, nelle va­rie specialità di cui è loro af­fidata la cura spirituale, rap­presentano infatti una pos­sibilità nuova ed immensa di bene, sulla quale la Chiesa fa grandissimo assegnamen­to ». «Essi – aggiunge il 'Papa buono' – vanno verso schie­re innumerevoli di anime giovanili, robuste e gagliar­de, ma talora esposte a gravi pericoli spirituali, per indi­rizzarle e formarle al bene». «Così avete fatto voi nel pas­sato, – ricorda infine ai cap­pellani in pensione – così fanno oggi i vostri più giova­ni confratelli, ai quali va l’at­tenzione sollecita dell’Ordi­nariato per prepararli ade­guatamente alle gravi re­sponsabilità che li attendo­no».