Le dimissioni di Marx. Riccardi: così viene meno il mediatore tra Roma e Berlino
Andrea Riccardi
Le dimissioni annunciate in modo mediaticamente potente dal cardinale Reinhard Marx da arcivescovo di Monaco e Frisinga sono «difficili da decifrare compiutamente». Ma comunque rischiano di rendere più difficile la comunicazione tra la Germania e Roma in un momento particolarmente delicato, segnato dal Cammino sinodale intrapreso dalla Chiesa tedesca. È questo il pensiero del professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, storico di vaglia e osservatore acuto dell’attualità ecclesiale. Avvenire lo ha intervistato.
Professore, lei ha da poco mandato in libreria il volume "La Chiesa brucia". In Germania la "combustione" è più forte che altrove?
In Germania la Chiesa brucia in maniera diversa. Non solo per gli abusi ma anche per una pesantezza istituzionale, frutto anche di una tassa ecclesiastica, che mi chiedo quanto sia compatibile con l’immagine di una Chiesa profetica.
Quale può essere il senso di queste dimissioni del cardinale Marx annunciate con la pubblicazione - in tedesco, in inglese e in italiano - della lettera al Papa?
Forse Marx con il suo gesto vuole inaugurare un cambiamento radicale nella classe dirigente episcopale tedesca. Questa mi sembra l’aspetto più intellegibile di una mossa che non è possibile decifrare compiutamente. Siamo di fronte ad un gesto problematico, in un contesto già molto problematico.
Quindi?
Credo che questo gesto vada letto in continuità con la sua non candidatura alla guida della Conferenza episcopale quando in Germania c’è una tradizione di leader dell’episcopato che hanno mantenuto per lungo tempo l’incarico. Pensiamo a Karl Lehman. Già questa prima rinuncia mi aveva interrogato.
Tutto parte dall’emersione degli scandali legati agli abusi sessuali commessi dal clero.
Sì, ma la rinuncia è anche l’espressione di un pastore che non si sente più di guidare la Chiesa tedesca in questo frangente, in questo delicato passaggio sinodale. Così dopo aver lasciato la guida dell’episcopato nazionale, ora manifesta l’intenzione di lasciare la guida di una delle diocesi più importanti della Germania e della più importante conferenza episcopale regionale, quella bavarese. E lo fa dopo aver compiuto atti di governo molto innovativi, come la nomina di una donna a vicario generale a Monaco e Frisinga.
Marx vuole lasciare proprio quando in Germania la Chiesa si sta confrontando in maniera forte all’interno di questo cammino sinodale.
Sì. Lo stanno facendo seguendo una linea che non è divergente, ma non è neanche convergente con la lettera di papa Francesco che ha aggiunto ai temi che si stanno discutendo anche animatamente, pure quello della missione e dell’attenzione ai poveri. Forse Marx non se la sente più di fare da mediatore tra la Chiesa in Germania e Roma. Lui era l’ecclesiastico di riferimento del Papa, come testimonia la sua presenza nel Consiglio di cardinali fin dal 2013 e la nomina a coordinatore del Consiglio per l’economia. Questo gesto finisce quindi inevitabilmente per indebolire la leadership dell’attuale presidente, il vescovo di Limburgo Georg Bätzing, e oggettivamente mette in difficoltà anche il Papa.
Perché?
Con le dimissioni di Marx - una delle menti più lucide dell’episcopato europeo - viene meno un personaggio consolare della Chiesa tedesca - ricordiamoci che la sua nomina a Monaco e la porpora cardinalizia risale ai tempi di Benedetto XVI - e anche della nostra Chiesa continentale: è stato infatti anche presidente della Comece. Con Marx viene meno il canale normale, il più diretto, di comunicazione tra Roma e la Germania.
Rimane il fatto che Marx metta a tema la riforma, anche istituzionale, della Chiesa.
La riforma della Chiesa va fatta, ma a livello europeo e senza fughe in avanti o resistenze spaventate. Da anni rifletto sull’opportunità di un Sinodo continentale su temi comuni come la questione migratoria o il ruolo delle donne, o sul tema dei rapporti con le Chiese degli altri continenti: noi e il mondo, noi e la nostra missione nel mondo.