Chiesa

Intervista. Don Pegoraro: torniamo a saperci meravigliare

Cristina Uguccioni mercoledì 14 agosto 2024

Sapersi meravigliare davanti a un paesaggio, passo per riscoprire la gratitudine

La vita, la meraviglia, l’educazione sono il perno della riflessione sulla gratitudine di don Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita.

Don Renzo Pegoraro - Siciliani


A suo giudizio è diffusa l’abitudine di ringraziare Dio per le felici invenzioni dell’ingegno umano?

Direi che non è un’abitudine diffusa, purtroppo. Si è più spesso abituati a cercare Dio quando le cose vanno male: sperimentando la propria fragilità lo si cerca per supplicare aiuto, protezione, sostegno. Così, però, lo spazio per la lode e il ringraziamento si riduce e si finisce per non ringraziarLo, ad esempio, per la scoperta di un nuovo farmaco o di una innovazione scientifica che arreca benefici. Questa ingratitudine è dovuta sostanzialmente a due fattori: da un lato, si danno molte cose buone per scontate e quindi non se ne coglie più il valore; dall’altro, si ha un’idea di Dio incompleta che impedisce di riconoscerlo nelle cose buone che gli esseri umani riescono a produrre o compiere. Una strada sicura per riaccendere la gratitudine è pregare con i salmi, che propongono non solo invocazioni di aiuto ma anche bellissime parole di lode e di ringraziamento per tutto ciò che di giusto e bello Dio continua a operare in noi e intorno a noi. Affidarsi ai salmi è dunque un modo felice per ridestare la gratitudine e farne una dimensione stabile della vita.

Il contesto odierno è dominato - come scrive il papa - «dal paradigma tecnocratico», che ha effetti drammatici sulla famiglia umana. «La tecnica», che pure produce cose preziose «per migliorare la qualità della vita degli esseri umani», è ormai diventata «la principale risorsa per interpretare l’esistenza». C’è gratitudine eccessiva nei confronti della tecnica? Essa sta diventando un idolo?

Sì: stiamo attraversando un’epoca di grande fiducia nei confronti della tecnica, che pare esercitare una fascinazione irresistibile, al punto che ad essa si attribuisce un potere assoluto; la si considera capace di risolvere tutti i problemi umani e ciò condiziona il modo di considerarli: essi vengono infatti ridotti a problemi tecnici cui bastano risposte tecniche. La sfida, oggi, è quella di prendere consapevolezza di ciò e comprendere che la nostra umanità – costituita dalla nostra corporeità, dalla nostra spiritualità, dalle nostre affezioni – non è riducibile alla dimensione tecnica. La ricchezza dell’esperienza umana e delle relazioni umane supera tale dimensione. Non si tratta di rinunciare alla tecnica, che assicura anche indubbi benefici: si tratta di governarla con senso di responsabilità, di riconoscerne i limiti, di non farsi sopraffare. Essa aiuta, è preziosa, ma non dà il senso della vita, non indica la direzione verso una vita giusta, non esaurisce la pienezza della realtà umana. Ogni volta che l’essere umano idolatra qualcosa rinuncia a vivere pienamente la sua dignità e la sua libertà, rinuncia a vivere la chiamata ricevuta dal Signore che lo ha creato a Sua immagine e somiglianza.

Come è necessario agire sul piano culturale per evitare che la tecnica diventi un idolo?

Occorre agire su più fronti sapendo che la questione è complessa. Anzitutto è fondamentale mettere a tema il ruolo della tecnica facendolo diventare argomento di studio e confronto. Ciò significa non assumere, di fronte allo strapotere della tecnica, un atteggiamento rassegnato e rinunciatario. È inoltre necessario valorizzare – anche a livello sociale – la ricchezza delle relazioni umane, imparare e insegnare a coltivarle, gustarle, onorarle, sapendo mettere da parte la tecnologia. Un pranzo con gli amici è un bene irrinunciabile per la qualità umana della vita: ed è solo un esempio fra i molti che si potrebbero fare. Infine, per evitare che la tecnica diventi un idolo è indispensabile dialogare e, soprattutto, lavorare con tutti coloro che sono coinvolti nello sviluppo e nella produzione dei prodotti della tecnica al fine di individuare quali principi etici seguire per tutelare ogni essere umano. Sotto questo profilo la Pontificia Accademia per la Vita cerca di fare la sua parte. Nel 2020 ha presentato la “Rome Call for AI Ethics”, un documento firmato da importanti aziende (Microsoft e Ibm), dai rappresentanti di diverse religioni e da decine di enti, università, istituzioni. La Call incoraggia un approccio etico all’intelligenza artificiale e promuove un’alleanza affinché l’innovazione digitale e il progresso tecnologico siano al servizio dell’uomo. Nella Call sono indicati sei principi etici condivisi, che costituiscono i pilastri dell’algoretica.

Molti hanno l’impressione che in Occidente la vita venga spesso data per scontata e ridotta ai suoi aspetti misurabili. Si sta perdendo la meraviglia per il fatto che la vita – propria e altrui – c’è? Come la si riaccende?

Anch’io ho da tempo la medesima impressione: la vita, data per scontata, è ridotta a qualcosa di cui si possono misurare funzioni, prestazioni, caratteristiche. Indubbiamente si è smarrita la meraviglia. E dunque anche la gratitudine per il fatto che la vita – in noi e attorno a noi – c’è. Per riaccendere la meraviglia bisogna puntare soprattutto sull’esperienza e sull’educazione. La meraviglia non si spiega a parole, bisogna farne esperienza e per farne esperienza è necessario imparare a fermarsi, concedersi il tempo di osservare e gustare il manifestarsi della vita in tutte le sue forme. Dunque anche il manifestarsi della vita nelle relazioni e nella natura. Fermarsi e imparare a contemplare un prato, ad assaporare il tempo felice trascorso con un amico o un familiare: sono tutti modi per far rinascere la meraviglia per la vita. E poi bisogna puntare sull’educazione: la scuola può fare moltissimo per aiutare i bambini e i ragazzi a fermarsi, a sperimentare lo stupore, a rendere grazie, a vedere con sguardo limpido tutto ciò che ha vita.

A chi vorrebbe rivolgere parole di gratitudine?

Sono numerose le persone che hanno segnato la mia vita e meriterebbero il mio sentito grazie. Vorrei in particolare ricordare i miei genitori che insieme alla vita mi hanno trasmesso il giusto modo di affrontarla, e due sacerdoti di Padova, don Lucio e don Luciano, che sono stati punti di riferimento decisivi nel mio cammino di vita e di fede. E poi vorrei dire grazie ad alcuni amici, ai quali sono legato sin dai tempi dell’infanzia: siamo cresciuti insieme, continuiamo a frequentarsi e a volerci bene.