IL RICORDO. Quell’incontro del ’98 che «cambiò» Fidel
Fu il primo Papa ad entrare nel Palacio de la Revolucion dell’Avana, accolto con tutti gli onori dal lìder maximo. Era il 22 gennaio 1998 e le immagini di quello storico incontro tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro fecero il giro del mondo. Nel suo faticoso incedere attraverso i saloni tappezzati di rosso, la bianca figura del Papa era accompagnata dal Comandante che per l’occasione aveva lasciato nell’armadio l’uniforme militare indossando un elegante doppiopetto blu. El Jefe sorreggeva «Juan Pablo segundo» allungando il braccio con un’attenzione delicata e premurosa ben oltre il protocollo. Si poteva cogliere una tenerezza reciproca e commovente che per un attimo fece passare in secondo piano la contrapposizione tra il Pontefice che aveva abbattuto il comunismo ed il presidente dell’ultimo Paese marxista rimasto nell’emisfero occidentale.
S’intrattennero in colloquio privato per 45 minuti. Un faccia a faccia tra due guerrieri: l’uno anziano e malato da cui continuava a sprigionarsi una grande energia spirituale, l’altro non più giovane, con la barba ormai sale e pepe, deciso a portare avanti cocciutamente l’utopia socialista. Un incontro che ha lasciato tracce profonde nell’animo di Fidel, come lui stesso ammetterà in varie occasioni. Un incontro drammatico, tant’è che da allora si ipotizza una sua conversione. Lo scrittore spagnolo Vazquez Montalban che ne trasse spunto per un libro dal titolo suggestivo E Dio entrò all’Avana ha avanzato il sospetto che si sia trattato dell’ennesimo «coup de théatre» da parte di un attore della storia abile e spregiudicato. Ma è vero che Fidel Castro ha sempre mostrato un grande interesse per la religione. «Da anni vado studiando le profonde affinità tra la dottrina cristiana e quella rivoluzionaria » confidava già nel 1985 al brasiliano Frei Betto in una lunga intervista che divenne un manifesto della teologia della liberazione latino-americana. Allievo dei gesuiti, scomunicato nel 1963 dopo che aveva messo al bando la Chiesa cattolica cubana, cacciato i vescovi e proibito ai cattolici d’iscriversi al partito unico, il barbudo della Sierra Maestra non si è mai definito ateo. E si è sempre tenuto informato sulle encicliche e sulle dichiarazioni più importanti del Papa e della gerarchia ecclesiastica, convinto della profonda sintonia tra le sue idee su capitalismo, mondo della finanza, globalizzazione ed ecologia e quelle di Giovanni Paolo II. Lo disse pubblicamente nel corso della cerimonia di benvenuto a papa Wojtyla sbarcato sull’isola caraibica: «Ho vissuto delle esperienze personali che mi permettono di apprezzare molti aspetti del suo pensiero». Negli ultimi tempi, dopo la malattia che l’ha colpito nel 2006 e l’ha costretto al ritiro definitivo dal potere nel 2008, sembra che sia cresciuto il suo interesse per i temi della fede e dell’aldilà. Dicono che sul suo comodino ci sia una copia del Gesù di Nazareth di papa Ratzinger cui ha dedicato una lettura attenta e meticolosa. Il vecchio Fidel appare sempre più lontano dall’iconografia di sinistra e dall’immagine cinematografica immortalata nel «Comandante» di Oliver Stone. Il lungo autunno del Patriarca che ha governato per quasi cinquant’anni con pugno di ferro e retorica debordante si concluderà con un’umile e sommessa riscoperta della fede?