Chiesa

IL DISCORSO ALLA CITTÀ. Quattro grandi cantieri per far rifiorire Milano

Lorenzo Rosoli martedì 7 dicembre 2010
Quattro grandi «cantieri» per fare di Milano «un luogo coeso, solidale, comunicativo, aperto a tutti, dove il terreno è liberato dalle aridità, dai sassi e dai rovi che ne soffocano la fertilità, dove poter realizzare i progetti di vita più veri». Non un’utopia, scandisce il cardinale Dionigi Tettamanzi, «ma un’impresa possibile e affascinante. Con la collaborazione di tutti, però, Nessuno escluso». Perché di tutti, milanesi vecchi e nuovi, italiani e stranieri, credenti e non credenti, ha bisogno la metropoli lombarda per vincere le tendenze alla disgregazione e all’esclusione. Di tutti ha bisogno nei quattro «cantieri sociali», «laboriosi e creativi», additati dal porporato nel Discorso alla città della vigilia di Sant’Ambrogio. Quattro "luoghi" di corresponsabilità e di servizio che il porporato identifica nella «Milano che funziona», «produttiva e generativa»; nella Milano ferita che chiede aiuto per tornare autosufficiente; nella città che si fa carico della questione educativa; e nella città che non si rassegna alle «inaccettabili forme di esclusione sociale».È la parabola evangelica del seminatore – dal capitolo 8 di Luca – a offrire a Tettamanzi, nel Discorso pronunciato ieri sera nella Basilica di Sant’Ambrogio, la chiave di lettura per affrontare la situazione di Milano, le sue sofferenze, risorse, sfide. Dalla parabola il porporato coglie l’immagine dei quattro «terreni» – quello buono e fecondo, quello soffocato dai rovi, la pietra, la strada – che costituiscono la realtà della metropoli, sviluppando un’analisi capace di farsi denuncia, ma anche e soprattutto proposta, nei quattro «cantieri» con cui «superare la frammentazione sociale». In questo scenario la Chiesa è chiamata ad annunciare Gesù, «la via della verità e della vita», «via profondamente umana, offerta alla ragione e alla fede di tutti».Le parole di Tettamanzi sono, innanzitutto, parole di memoria e gratitudine per «il seme che già ha portato frutto». Milano è «una città dal terreno promettente», «dove è forte l’impronta cristiana», come dice la sua storia di grandi vescovi (da Ambrogio e Carlo Borromeo fino a Giovanni Battista Montini e ai pastori degli ultimi decenni) e di santi di ieri e d’oggi (l’arcivescovo cita Carlo Gnocchi e Serafino Morazzone, Clemente Vismara e Enrichetta Alfieri), ma anche di politici e di pubblici amministratori che hanno saputo dedicarsi senza risparmio al bene comune – Tettamanzi giunge a chiedere iniziative per recuperare la loro memoria.E oggi? «Il terreno in cui gettare il seme buono e nuovo – della giustizia, della carità e della pace – è il cuore, la mente, il vissuto quotidiano personale, familiare, sociale degli abitanti vecchi e nuovi di Milano». C’è il terreno fertile: la Milano intraprendente, che crea lavoro, ricchezza, conoscenza, integrazione, nelle imprese come nelle università o negli ospedali. Ma, insegna la parabola evangelica, a nessun terreno il seminatore nega il buon seme. Non lo nega al terreno soffocato dai rovi, cioè la città gravata da «forme di disumanizzazione – povertà, malattia, disagio – che impediscono all’umanità buona di fiorire». Non lo nega al terreno reso improduttivo dalle pietre, cioè la città interpellata dalla questione educativa e culturale, che fatica a dare un senso all’esistenza, che ha nei giovani e nelle periferie le sue frontiere.Non lo nega, inoltre, a quel terreno rappresentato dalla «strada», cioè la città dell’esclusione, che va dai carcerati ai malati incurabili (giudicati «persona a perdere»), dagli anziani (per molti solo «un fardello») ai nomadi (verso i quali, denuncia Tettamanzi, c’è un accanimento che rischia di chiudere qualsiasi possibilità di integrazione). L’arcivescovo ha anche una parola per gli immigrati: rinnova l’invito a coniugare diritti e doveri e sostenere «un futuro di cittadinanza vera». Di fronte ai recenti fatti di cronaca – chiaro il riferimento alla vicenda di Yara Gambirasio, la ragazza scomparsa a Bergamo – pregando per le vittime d’ogni violenza, chiede però che «non si sovrapponga genericamente a tutti gli immigrati la categoria della delinquenza».È per portare ad ogni terreno, anche nelle situazioni più difficili, il seme della speranza, che si debbono promuovere iniziative specifiche – sostenendo le famiglie, le associazioni, il terzo settore; mettendo in rete i soggetti sociali educatori – ma soprattutto aprire quei «cantieri» in cui far incontrare la città che soffre, la città esclusa e la città che ce la fa. Milano guarda avanti. La attendono le elezioni comunali, e forte e chiaro è l’invito di Tettamanzi a privilegiare i temi concreti alla polemica finalizzata al consenso. Ma anche eventi come il VII Incontro mondiale delle famiglie, nel 2012; i 1700 anni dell’Editto di Costantino, nel 2013, che ricorda alla città la questione di luoghi di culto per le religioni più praticate; e l’Expo nel 2015. Quanti «cantieri», nel futuro di Milano; quanta terra da seminare per il bene di tutti.