Chiesa

Il direttore risponde. Quando chi informa è disinformato

sabato 26 novembre 2011
Caro direttore,
seguo 'Prima pagina' su Rai3 , da lunedì condotta da un giovane vicedirettore del Foglio. In modo categorico, su intervento di una ascoltatrice, ha precisato che «gli immobili commerciali, di Chiesa e istituzioni religiose, non sono soggetti all’Ici». Ho cercato il volumetto di Folena per informarmi meglio, e lì è tutto chiaro: sugli immobili adibiti a fini commerciali o dati in affitto si deve pagare.
E se qualcuno non lo fa, i Comuni devono farglielo fare. Ti pregherei, comunque, di un intervento diretto. Infatti, chi ha ascoltato Radio3 ha 'registrato' che le cose stanno effettivamente all’opposto. La medesima cosa era capitata la precedente settimana…
Giovanni Padovani, Verona
 
Certo che intervengo di nuovo, caro Padovani, e ci mancherebbe... Anche se comincio ad avere la sensazione che ristabilire la verità delle cose su 'Chiesa & Ici' sia come tentare di svuotare il mare della disinformazione con un cucchiaino… Su 'Otto per mille & dintorni' va appena – appena! – meglio e comunque, per far opera di giustizia e di trasparenza a fronte di cicliche campagne di distorsione e diffamazione, domani allegheremo ad Avvenire e al nostro mensile 'Noi Genitori & Figli' un’agile e documentata opera ('L’Abc del sostegno economico alla Chiesa cattolica' di Mimmo Muolo, realizzato in collaborazione con il Servizio Cei competente). Certi strampalati attacchi non possono farci perdere d’animo, ma soprattutto non devono far perdere concentrazione a chi nella Chiesa e con la Chiesa fa il bene a gloria di Dio e per amore dei fratelli.
E veniamo alla questione della faciloneria strafalciona dimostrata da un conduttore di 'Prima Pagina', il bel programma di Radio3 Rai che anch’io ogni tanto sono invitato a condurre (un giorno, magari, capirò perché per le voci di Avvenire vale il principio della più che modica quantità – una basta e avanza –, mentre le voci di altri e più piccoli giornali sono moltiplicate per tre o quattro in un anno... ma francamente è difficile spiegarlo). A sparacchiare malamente contro la Chiesa cattolica, dopo che un cronista del 'Fatto' (segnalatoci dal lettore Garavello) si era esibito la scorsa settimana, è stato stavolta un giornalista del 'Foglio'.
Dov’è il problema, si dirà? Lo fanno in tanti, in tv e per radio, sui giornali e sui settimanali... Beh il problema, anzi il problemone, è che questi e altri colleghi – persino in buona fede, ma certo non documentandosi e in genere basandosi su ciò che di inesatto altri ancora hanno già proclamato e scritto – stanno spiegando e rispiegando, all’unisono con i radicali, che le istituzioni religiose possono 'non pagare tasse' su eventuali attività commerciali. Usano toni dolenti e inarcano severamente il ciglio, ma fanno uno spot all’evasione fiscale. Inducono paradossalmente a credere che la cosa sbagliata 'si può fare'. Noi, invece, siamo assolutamente contenti di poter spiegare, legge alla mano, esattamente il contrario: e cioè che tutti coloro che, pur religiosi, gestiscono con fini di lucro strutture di ospitalità o ristoranti o danno case in affitto a terzi devono pagare le tasse perché nessun privilegio ingiusto è accordato dalla legge italiana alla Chiesa e alle sue articolazioni (così come alle altre religioni e al non profit laico). Eppure si fa finta di non sentire o di non capire.
Oltre che per culto, sono infatti accordate – e non solo alla Chiesa cattolica ma, lo ripeto, a ogni altra religione che abbia stretto un’intesa con lo Stato Italiano e così anche a ogni attività non profit di qualunque ispirazione – esenzioni e agevolazioni esclusivamente alle strutture che svolgono senza fini di lucro attività «assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive». Per svolgerle sono inevitabili anche «modalità» di tipo commerciale: bolle di accompagnamento, registrazioni etc. (lo sa bene chi conosce come funzionano, e magari ci collabora, una mensa per i poveri, un ostello per senzatetto o donne in difficoltà, una casa per ritiri spirituali, un oratorio…).
Ma chi sarebbe disposto a dar credito a qualcuno che sostenesse che la Caritas fa concorrenza al ristorante all’angolo e, dunque, affermasse che la sua attività merita di essere assoggettata a qualche balzello? A una vera e propria 'tassa sulla solidarietà'? Sono domande a cui è facile rispondere, se ci si informa e si ragiona. E io resto convinto che chi informa dovrebbe preoccuparsi di conoscere bene ciò di cui parla e scrive.
Oppure, anche noi due, caro Padovani, dovremo rassegnarci a pensar male: la disinformazione per certi signori e qualche mio collega giornalista è l’obiettivo perseguito, non un incidente di percorso.
P.S.: Lettere indignate arrivate in serata mi fanno capire che la premiata ditta Santoro&Vauro ha fatto da gran cassa alla peggiore 'disinformatsja' sui temi che affronto oggi in questo spazio di colloquio coi lettori. Nessuno stupore, solo una amara conferma. Le botti televisive sono come tutte le altri botti: possono essere piazzate dove si vuole, ma danno solo il vino che hanno... Non ho visto l’autoproclamato 'Servizio pubblico' santoriano, e francamente non ne sento il bisogno e – guarda un po’ – neppure la nostalgia. Amo e difendo le voci plurali e serie anche le più avverse, ma non – lo ripeto – la faciloneria strafalciona e il pregiudizio ostile.