La mostra. Quando il geniale Gaudí prese come madre la Madonna
L'architetto Chiara Curti
«Gaudí hijo de Maria». Che Antoni Gaudì si sentisse figlio della Vergine è quanto possono intuire ogni giorno turisti e pellegrini che visitano la Sagrada Familia di Barcellona, suo capolavoro assoluto. Ed è quello che Chiara Curti, architetto della chiesa espiatoria catalana, ha voluto far toccare con mano anche ai giovani che in questi giorni stanno vivendo la Gmg a Panama, attraverso una mostra allestita al Biomuseo.
L’esposizione si divide in due parti e sei capitoli, illustra la curatrice: «I primi tre raccontano la vita di Gaudì. Abbiamo cercato di spiegare come avesse avuto un’infanzia e una gioventù simili a quelle dei ragazzi di oggi, che devono scegliere cosa studiare e cercano di affermare la propria identità. Gaudì aveva chi lo guidava, per lui era la Vergine Maria, che sentiva vicina sin da quando, giovanissimo, perse la mamma. Ma anche quando anni dopo decise di abbandonare la realizzazione di opere civili per dedicarsi solo a quelle religiose».
Durante la costruzione di Casa Milà, «la Pedrera», i committenti non gli permisero di collocare sul tetto una monumentale statua della Vergine del Rosario che lui sognava vedere svettare nel cielo sopra Barcellona. Questo “incidente” e la singolarità dell’edificio suscitarono non poche polemiche e ironie. È in questo momento di crisi che l’architetto catalano decide di dedicare tutto se stesso alla realizzazione della Sagrada Familia. «Lanciando un messaggio attualissimo ai ragazzi che vengono in visita – spiega Curti – non si può fare qualcosa che non ci convinca o che non viviamo nel profondo».
Gaudí però va oltre: si spoglia di tutto, dona la ricca parcella della Pedrera e i suoi risparmi alla Casa della carità di Barcellona, il più grande orfanotrofio della città. Da qui inizia la seconda parte della mostra, connessa alla sua svolta religiosa e di vita. La richiesta che Gaudí – vera “archistar” dell’epoca – inoltra a chi si occupa dell’amministrazione della cattedrale è di ricevere solo un pugno di pesetas per cibo, trasporti e giornali, abbracciando di fatto una forma di vita monacale, sua vera vocazione.
Al termine dell’esposizione i ragazzi possono contribuire alla realizzazione di un grande mosaico che ha come tessere pezzi di ceramica rotti e che verrà donato alla diocesi di Panama. Raffigurerà un’ancora con le tre stelle di Maria, colei che «può trasformare la vita di ognuno – conclude Curti – in un’opera d’arte».