Chiesa

Sinodo / Diario. Prove di ecumenismo domestico

Luciano Moia venerdì 10 ottobre 2014
Nullità, processi canonici, riammissione ai sacramenti dei separati divorziati, cammini penitenziali. I rappresentanti delle Chiese orientali al Sinodo seguono il dibattito con un atteggiamento a metà strada tra stupore e difficoltà di comprensione. Non scuotono la testa, perché sono ben educati, ma sussurrano tra loro: «Perché questi occidentali fanno tutto a rovescio?». Difficile per la teologia orientale – direttamente influenzata dalla prassi ortodossa – comprendere come sia possibile perdere tanto tempo per discutere sull’ipotesi di snellire le procedure di nullità. Secondo le loro consuetudini infatti un matrimonio celebrato regolarmente da un sacerdote, secondo le indicazioni della liturgia, appartiene direttamente alla dimensione dell’eternità. È stato benedetto da Cristo stesso. Non si discute più. Per la teologia occidentale invece, come è noto, il diritto canonico prevede (lo spieghiamo qui a fianco) tutta una serie di condizioni per verificare la validità delle nozze. La prospettiva invece si rovescia a proposito dei cammini penitenziali per chi, dopo il fallimento del proprio matrimonio, pensa di contrarre una nuova unione. Ammessi in molte delle Chiese orientali, e comunque considerati prassi normali, sono al contrario motivo di dibattito tra i padri sinodali. Quale punto di incontro tra due visioni apparentemente così diverse? Eppure se la Chiesa deve tornare a respirare con due polmoni – come diceva Giovanni Paolo II – occorrerà anche inventare un ecumenismo della famiglia. Credibile e coerente soprattutto agli occhi dei non cristiani.