Il gesuita «riformato» Pierre Favre sarà proclamato santo prima di Natale. L’iter presso la Congregazione per le cause dei santi è ormai giunto quasi al termine e si attende per dicembre la
littera decretalis, la bolla pontificia con la quale Francesco canonizzerà il primo compagno di sant’Ignazio, estendendone il culto alla Chiesa universale. La prassi adottata per il beato Favre è quella della canonizzazione cosiddetta «equipollente», pratica utilizzata nei riguardi di figure di particolare rilevanza ecclesiale per le quali è attestato un culto liturgico antico esteso e con ininterrotta fama di santità e di prodigi. Tale pratica è stata effettuata regolarmente dalla Chiesa, anche se non con frequenza. Nella storia recente Giovanni Paolo II ne ha compiute tre, una Benedetto XVI, l’ultima, quella di Angela da Foligno, è stata firmata il 9 ottobre scorso dallo stesso papa Francesco. Ma la canonizzazione del beato savoiardo Pierre Favre riveste un significato tutto particolare perché Favre è un modello di spiritualità e di vita sacerdotale dell’attuale successore di Pietro e al tempo stesso uno dei riferimenti importanti per comprendere il suo stile di governo.Vissuto sul crinale di un’epoca che vide minata l’unità della Chiesa, Favre, rimanendo sostanzialmente estraneo alle dispute dottrinali, indirizzò il suo apostolato alla riforma della Chiesa divenendo un precursore dell’ecumenismo. E quanto l’esempio di Favre sia radicato nell’orizzonte pastorale di Francesco si ha sentore nel sintetico ritratto che egli ne ha fatto, nell’intervista rilasciata a
La Civiltà Cattolica, rilevando alcuni aspetti essenziali della sua figura: «Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce».La fisionomia di Favre che emerge dagli scritti è quella di un contemplativo in azione, di un uomo attratto senza tregua a Cristo, comprensivo della gente, appassionato alla causa dei fratelli separati, sperimentato nel discernere gli spiriti, dove traspare l’esemplarità della sua vita sacerdotale nel vivere con pazienza e mitezza la gratuità del sacerdozio ricevuto in dono e donando se stesso senza sperare in alcuna ricompensa umana. Le intuizioni più tipiche di Favre si rifanno al «magistero affettivo», alla capacità cioè di comunicazione spirituale con le persone, a quella grazia di saper entrare nelle condizioni di ciascuno.Favre incontra Dio in tutte le cose e in tutti gli ambienti, anche quelli più freddi e ostili. La sua pietà semplice, vicina, umile, ardente è contagiosa. La dolcezza e il fervore del suo linguaggio trascinano e spingono verso l’incontro con Cristo. Dovunque egli passasse la sua attività apostolica risvegliava il senso della comunione ecclesiale e la sua presenza faceva sentire agli uomini l’amore di Dio. E questo è il fascino che lo rende contemporaneo.Nel suo «Memoriale», che è uno dei documenti principali della spiritualità degli inizi della Compagnia di Gesù, «la sua vita è concepita come cammino», così come si evidenzia nel recente profilo uscito su
La Civiltà Cattolica. Tutta la sua esistenza acquista questa caratteristica di cammino, di viaggio nelle diverse regioni d’Europa sull’esempio di Cristo: itinerante per obbedienza, sempre attento a compiere la volontà di Dio e non la propria. Egli agisce là dove si operano grandi cambiamenti storici, è presente nelle Diete di Worms e di Ratisbona, è teologo che impartisce lezioni sulla Sacra Scrittura a Roma e a Magonza, è chiamato a partecipare al Concilio e nello stesso tempo è apostolo della conversazione, del dialogo soprattutto individuale con le persone, dell’amore manifestato a ognuno sull’esempio del Buon pastore, che stabilisce relazioni fraterne con laici, consacrati, ricchi, poveri, malati, chiunque incontri nel suo cammino. Un cammino che è soprattutto spirituale come afferma Favre stesso in una lettera: «Desidero che il mio pellegrinare sia andare a cercare un altro Favre meno suo e più nostro in Cristo».Il «Memoriale» nasce come diario per annotare, ricordare per sempre i doni spirituali che gli ha concesso Dio e che sono riassunti nell’incipit del diario stesso: «Anima mia, benedici il Signore e non dimenticarti dei benefici che ti fa Colui che salva la tua vita dalla perdizione e ti corona con la sua sovrabbondante misericordia [...]. Qui sono inclusi gli innumerevoli benefici che il Signore conferì alla mia anima dandomi la grazia di orientare tutto a Lui solo, senza intenzione mondana di acquistarvi onori o beni temporali». È «la sottile punta dell’anima» che lo rende maestro d’orazione e nel quale trova eco «la memoria sempre presente della grazia», «il pregare "memorioso"» di Bergoglio.La fede per Favre è un «dono immeritato di Dio», una grazia per cui «non puoi far altro che ringraziare». Michel de Certeau riassume tutta l’esperienza spirituale del beato nell’idea della salvezza tramite la fede e lo definisce «prete riformato» per il quale esperienza interiore, espressione dogmatica e riforma strutturale sono strettamente connessi. Ma la riforma di cui parla Favre è anzitutto la riforma di se stessi, che parte anzitutto da se stessi.Da qui l’attualità della sua testimonianza, da qui anche la sua esemplarità sacerdotale e non solo per i gesuiti e gli apostoli di una regione particolare del mondo, ma per ognuno che vuole cooperare all’azione santificante di Dio nella Chiesa universale.Favre, dunque, l’uomo autentico di Dio che cerca anzitutto la familiarità e l’unione con Lui, l’uomo sempre in cammino, prossimo a tutti, aperto al mondo e in costante ascolto dello Spirito, incarna quel respiro missionario della Chiesa a cui guarda papa Francesco e a cui potrà anche richiamare l’
Evangelii gaudium.