SOCIAL NETWORK. Su Twitter con lo stile del Vangelo
Cerchiamo
continuamente di ricreare – anche attraverso l'insulto, se occorre – i
confini che ci proteggono lasciando le cose come stanno; ma la buona notizia
spariglia il dato di fatto e abbatte i confini, proprio perché la si porta
anche laddove non ci si aspetta l'applauso. Per questo Gesù non ha avuto
paura – o se l'ha avuta non se ne è lasciato paralizzare – di esporsi agli
insulti, agli sputi, a coloro che gli strappavano la barba e persino alla
morte destinata ai peggiori malfattori. La verità la si comunica prima
di tutto con la presenza, la vicinanza e l'amore. Dovunque l'uomo si trovi.
E anche al prezzo di umiliare se stessi. Perché solo chi è disposto all'umiltà
(da humus, vicino alla terra) sarà esaltato. Solo passando dall'umiltà
e dalla testimonianza oggi l'autorità può risultare autorevole, credibile,
in mezzo a tante voci disordinate. È poi legittimo chiedersi, come hanno
fatto in molti, se la forma breve di un tweet, che apparentemente suggerisce
una parentela più stretta con lo slogan pubblicitario che con il versetto
evangelico, sia un "medium" adeguato al "messaggio", o, viceversa, una
riduzione che lo tradisce e lo mortifica. Su questa e altre critiche molte
voci autorevoli si sono già espresse, come quella del direttorie di Civiltà
Cattolica padre Spadaro e quella del segretario
del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, monsignor Tighe,
il quale ha ricordato che «l'essenza dell'insegnamento biblico è breve», e che il linguaggio biblico è conciso, stringato,
e per questo più incisivo. E va comunque ricordato che i tweet del Papa
non sono "oracoli", bensì inviti. Non sono slogan, che pretendono di ridurre
in pillole la dottrina cristiana, ma parole-soglia, per avvicinare i lontani
e aprire loro una prospettiva diversa. Non sono "idoli", termini che contengono
già in sé tutto il significato, ma "simboli", che mentre costituiscono
di per sé una forma di vicinanza sollecita, rinviano a un'unità di comunicazione
molto più ampia e "crossmediale", di altro respiro (dall'Angelus ai messaggi
come quello per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni, alle encicliche).
Resta il fatto che lo sforzo di chiarezza e semplicità è perfettamente
conforme al linguaggio evangelico e ne costituisce un'attualizzazione capace
di cogliere i segni dei tempi.
Molte obiezioni che in questi giorni sono
state rivolte sono dunque in realtà preziose occasioni per riflettere –
rendendola ancora più efficace – sul significato di questa scelta. Per
esempio, l'obiezione che il Papa è su Twitter ma non "segue" nessuno e
dunque non rispetta le regole e lo spirito dei social network. Non è compito
del Papa "stare al gioco": casomai entrare nel gioco per sovvertirne la
logica, come ha fatto Gesù nei contesti inusuali – e per molti inappropriati
– che ha visitato (Tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!»,
Lc 19,7: e non è stato certo per unirsi alla compagnia!). Se nell'era del
"sé quantificato", delle metriche della popolarità, della tirannia del
klout l'obiettivo è moltiplicare i follower del proprio account (che si
possono anche "acquistare", o incrementare con "trucchi" ampiamente disponibili
in rete), il Papa sceglie di entrare in questo ambiente in modo inusuale:
per esempio con una distanza tra la presenza (3 dicembre) e la comunicazione
(12 dicembre), per valorizzare il significato dell'attesa, con una relazione
che passa dall'essere-con prima ancora che dalle parole. Un milione di
follower prima del primo tweet è forse un segnale che questo messaggio
silenzioso, anche solo per curiosità, è stato ricevuto. Come ancora ha
sostenuto Tighe, «il vero gioco non riguarda i followers del Papa. Riguarda
piuttosto il modo di raggiungere persone che possono essere toccate, sostenute,
incoraggiate dalle parole del Vangelo. Se ci sono follower, sono follower
di Cristo».
Essere seguiti, ma non per se stessi, è un "altro" modo di
stare sulla rete, in forma paradossale. Le obiezioni sulla "non conformità"
della presenza del Papa non possono non fare i conti con l'eccentricità
intrinseca della presenza cristiana, che Gesù ci ha insegnato: nel mondo
ma non del mondo. In questo caso, nel Web ma non del Web. Presenza, ma
libera dai condizionamenti della netiquette e dalle logiche, così facilmente
strumentalizzabili, dei social network. E, magari, capace di ridefinirle,
nel tempo, in una direzione più human-friendly.
I tweet del Papa sono
il modo della sua presenza e della sua vicinanza, le porte alle quali ci
si può anche solo affacciare per curiosità, come stanno facendo in tanti.
Ma lo spazio digitale è anche uno spazio di ascolto, e l'orecchio è l'hashtag
askpontifex, che consente di seguire non le singole persone, ma le domande
che nella piazza digitale risuonano, e raccogliere quelle sincere per poter
orientare le "proposte" attraverso i tweet. Lo scopo del Papa non è stare
al gioco dei social network, ma essere presente con sollecitudine, in un
ambiente sempre più importante per un numero sempre maggiore di persone.
E questa, a sua volta, è una delle ulteriori ragioni di critica. La rete
è, secondo molti, un ambiente insidioso, a rischio inautenticità. Perché
dunque il Papa non se ne astiene?
In realtà questa è un'obiezione che
accompagna sin dall'inizio la riflessione sui social network, ma che rischia
di restare vittima di una doppia ingenuità: non riconoscere che qualunque
ambiente di relazione interumana è a rischio inautenticità («Guai a voi,
scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate
lunghe preghiere per mettervi in mostra», Mt 23,14); e attribuisce alla
rete il potere di determinare la qualità del nostro ambiente relazionale
(quello che si definisce "determinismo tecnologico"), senza considerare
che siamo noi, con la nostra libertà e responsabilità, a dare forma all'ambiente,
pur dovendo tener conto delle sue caratteristiche.
L'esperienza della
Rete ci fa sperimentare oggi la compenetrazione tra materiale e digitale,
tanto più quanto più il baricentro è sulla persona e le relazioni anziché
sulla tecnologia: da questa prospettiva antropocentrica e relazionale il
dualismo (che vede il digitale come il luogo dell'inautenticità, o della
realtà impoverita che compete con quella "vera") non ha più ragion d'essere.
E anche in questo ambiente oggi la voce dei cristiani è importante, perché
in virtù della loro fede essi sanno insieme essere realisti (cogliere i
segni dei tempi al di là delle apparenze più evidenti) e profetici (anticipare
il cambiamento secondo quello che Flannery o' Connor definisce un «realismo
delle distanze»). Lo sguardo della fede ci offre dunque una prospettiva
critica (capace di discernimento), né tecno-entusiasta né tecno-pessimista,
e uno sguardo realista non appiattito sul dato di fatto. Il digitale è
parte di un'unica realtà. E la realtà, i cristiani lo hanno sempre sostenuto
contro ogni riduzionismo (non ultimo quello materialista, che la rete aiuta
a mettere in discussione), è molteplice e complessa nella sua unità.