Chiesa

Expo. Pompili: «Nutrire il Paese, ecco cosa fa la Chiesa»

Monsignor Domenico Pompili * martedì 14 aprile 2015

Nutrire il Paese: l’impegno ecclesiale in Italia Expo 2015 intende immaginare un’altra giustizia alimentare, mettere a confronto Paesi di diverse aree geografiche su come migliorare la food security. Ma anche ripensare il ruolo di scienza e ricerca, indispensabili allo sviluppo di tecnologie per la gestione dei rischi. Nel frattempo è utile conoscere quel che le chiese che sono in Italia già fanno per garantire l’alimentazione a chi ne è privo. In tal modo la partecipazione della CEI ad Expo 2015 accanto alla Santa Sede e alla diocesi ambrosiana esprime un impegno che va oltre il tempo della prossima Esposizione Universale di Milano. Oggi in Italia oltre 4.000.000 di persone (di cui il 70% cittadini italiani) sono sotto la soglia della povertà alimentare e il numero degli indigenti alimentari in Italia è in continuo aumento. Queste persone vengono sostenute nei loro bisogni primari da quasi 15.000 strutture caritative territoriali che attraverso i pacchi alimentari, le mense o altre forme di intervento più innovative offrono aiuto a chi ne ha bisogno. L’azione della rete ecclesiale Più in dettaglio, in termini di progettualità sviluppate dalla rete ecclesiale e in particolare dalle Caritas si possono distinguere, da un lato, quelle sul piano culturale per sensibilizzare le comunità sul corretto uso dei beni alimentari e, dall'altro, quelle orientate ad attivare processi e percorsi tradizionali e innovativi per il reperimento delle scorte alimentari da destinare ai poveri. In tema di sensibilizzazione sul corretto uso dei beni alimentari ricordiamo ad esempio l’esperienza della Caritas di Savona, che propone corsi di cucina e gestione della spesa, o l’esperienza della Caritas di Caltagirone che organizza giornate di sensibilizzazione e raccolta di generi alimentari davanti ai supermarket presenti in diocesi, o altre esperienze in varie diocesi relative all’avvio di “orti solidali”. Per quel che riguarda il secondo ambito, invece, sono diverse le esperienze di secondo welfare attive in varie parti del Paese. La Caritas di Vercelli, ad esempio si impegna a recuperare i pasti in disavanzo dalle strutture Asl per distribuirli poi agli ospiti dei dormitori. Ad Avezzano, attraverso il progetto “Lo spreco utile”, i prodotti prossimi alla scadenza della catena Coop vengono devoluti alle famiglie più svantaggiate o utilizzati nella mensa socio-assistenziale locale. Nella diocesi di Rieti quotidianamente si realizza una raccolta di prodotti avanzati da pizzerie e panifici del centro cittadino, con successiva distribuzione agli indigenti. Ad Arezzo vengono organizzate raccolte di prodotti alimentari in scadenza presso alcune catene di supermercati per poi utilizzarli all’interno dei servizi caritativi. A Catanzaro la Caritas diocesana interviene nella filiera del sostegno alimentare provvedendo a pagare l’affitto per il capannone utilizzato dalla Fondazione Banco Alimentare per conservare e distribuire il cibo raccolto. Le risposte dei Centri di Ascolto della Caritas Complessivamente occorre ricordare che nel 2014 le richieste espresse nel complesso italiani e stranieri ai Centri di ascolto Caritas si riferiscono soprattutto a beni e servizi materiali; queste da sole rappresentano infatti il 73% del totale. Anche negli interventi realizzati prevale l’erogazione di beni e servizi materiali (56,3%) di cui ha beneficiato più di una persona su due (senza particolari differenze tra italiani e stranieri) questi in particolare spiccano la distribuzione di viveri sotto forma di pacchi viveri o altre modalità più o meno innovative di aiuto (60,1%) e di vestiario (30,9%), i servizi mensa (18,1%) e i buoni pasto (circa 5%).Percentuali in crescita rispetto al 2013 in cui già il 50% degli interventi era rivolto a questo genere di bisogno. Più nello specifico, circa due terzi degli interventi inerenti beni e servizi primari avevano riguardato l’ambito alimentare. In aggiunta a ciò, considerato il ritardato avvio del Programma europeo relativo alla fornitura di beni essenziali (prodotti alimentari e beni di consumo di base) agli indigenti (FEAMD), Caritas Italiana – grazie al sostegno della CEI che ad essa destina una parte significativa dei fondi dell’8x1000) - ha attivato nel 2013 un canale di finanziamento ulteriore relativo al rimborso di spese per l’acquisto di beni alimentari in favore di persone e famiglie. Rispetto a quest’ultimo filone sono pervenute a Caritas Italiana solo tra giugno e dicembre 2013 più di 150 richieste di rimborso (pari al 70% delle Caritas diocesane) per circa 6 milioni di euro. Lo stretto legame tra povertà alimentare e povertà economica Nel nostro Paese non è in atto un’emergenza alimentare in senso stretto - imputabile ad una riduzione delle quantità di cibo disponibile - quanto un’emergenza economica che, a causa di una riduzione generale dei consumi, sta determinando significative conseguenze anche sul fronte alimentare. L’aumento di persone che richiedono aiuti alimentari è dunque sintomo di un problema anzitutto di natura economica. Poiché alcuni costi sono difficilmente comprimibili - le bollette, l’affitto, le rate di un debito o di un mutuo - per far quadrare le spese si taglia laddove, pur con sofferenza, si può tagliare: istruzione, salute e, appunto, cibo. E così sempre più persone, strette nella morsa della crisi, rinunciano in toto o in parte agli acquisti alimentari, rivolgendosi poi a enti caritatevoli per sopperire a queste mancanze. In questo senso i dati relativi a coloro i quali si sono rivolti alla Caritas per un aiuto forniscono alcune indicazioni interessanti. Accanto a chi dichiarava di essere privo di reddito o di una qualche forma di entrata (28.5%), nel 2013 è aumentato soprattutto il numero di chi possedeva un “reddito insufficiente rispetto alle normali esigenze della persona” (47,4%). In Italia l’azione ecclesiale contro la fame si esplica anche attraverso e nell’ambito delle 1.148 iniziative anticrisi avviate nelle diocesi. Dal 2010 ad oggi le iniziative diocesane risultano  pressoché raddoppiate (+ 99,0%). Gli empori solidali/botteghe di vendita sono presenti in 109 diocesi (+70%). Aumentano i progetti di taglio sperimentale o innovativo (vedi sopra) che passano da 121 nel 2012 a 215 nel 2013 (+77,7%). * Direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della Cei