Chiesa

Il Triduo Pasquale. L'annuncio pasquale nel rito ambrosiano e romano

Marcello Palmieri sabato 19 aprile 2014
Un grido di gioia, un canto di libertà. Risuona sabato notte l’annuncio della Risurrezione. In tutta la Chiesa. In tutte le chiese che celebrano la Veglia pasquale. Rito romano e rito ambrosiano coesistono in Italia: mutano le sfumature, intatta resta la sostanza. Basti pensare al cero pasquale, comune a entrambe le tradizioni. “Ma se in quella milanese viene presentato come luce che guida verso il Cristo risorto - spiega monsignor Marco Navoni, pro presidente della Congregazione per il rito ambrosiano (presidente d’ufficio è il cardinale arcivescovo) - la Chiesa romana vede già in esso la luce del Signore vittorioso”. Ed ecco il preconio, elemento rituale che sottolinea questa differenza. Una lode al cero cantata dal diacono. Solenne, vibrante. Che nella versione ambrosiana celebra l’”approssimarsi della vespertina risurrezione del nostro Signore e Salvatore”, mentre in quella romana già inneggia a “Cristo risuscitato dai morti”. Lo canta il diacono, assistito da tutti gli onori solitamente tributati al Vangelo. In latino o in italiano, con la melodia gregoriana piuttosto che con nuove formule di cantillazione. Dall’ambone o addirittura dal pulpito, dopo l’ingresso con il cero. Milano o Chiesa universale, mettila come vuoi: in ogni caso, il culmine della celebrazione non è quello. Arriva dopo le letture dell’Antico testamento, un lungo percorso che conduce per mano i fedeli attraverso la storia della salvezza. Tratto comune: pur con qualche piccolissima variante, è accompagnato dallo “scioglimento” delle campane e dal suono dell’organo, dopo il silenzio della morte di Cristo. Ma se l’arcivescovo o chi presiede in rito ambrosiano intona per 3 volte e su altrettanti lati dell’altare l’annuncio “Cristo è risorto”, la Chiesa di Roma invita a proclamare il Gloria. Quell’”inno antichissimo e venerabile”, così lo definiscono le norme liturgiche, che era stato taciuto in tutte le domeniche di quaresima. Commenta monsignor Navoni: “Le 2 tradizioni sono completamente diverse. Quella ambrosiana si perde nella notte dei tempi, perché eredita il rito pasquale di Gerusalemme. E trova un importante parallelismo nella liturgia bizantina”. In buona sostanza: “Tre è il numero della perfezione. E l’annuncio dato dai diversi lati dell’altare indica una pienezza destinata a pervadere interamente spazio e tempo. D’altro canto - il liturgista lo ricorda -, con le parole ‘Cristo è Risorto’ si scambiano ancor oggi gli auguri pasquali gli ortodossi greci ”. Ma nella Chiesa di Ambrogio, l’annuncio è presente ogni sabato sera. “All’inizio della Messa vigiliare, con la lettura del Vangelo di Pasqua accompagnata dal suono delle campane. Un uso, quello dei rintocchi, già consigliato a suo tempo dall’arcivescovo Giovanni Colombo e ora ufficialmente previsto dai libri liturgici”. Non così nel rito romano. “In questo caso l’annuncio della Risurrezione resta circoscritto al sabato santo e si manifesta nel preconio. Ecco allora il canto del ‘Gloria’, dopo le letture veterotestamentarie: la sua funzione non è quella di ripetere il “Kerigma”, e cioè la proclamazione di Cristo morto e risorto, quanto piuttosto quella di farne esplodere la gioia”. Quasi un’appropriazione, una presa di consapevolezza di un mistero più grande di noi. Che ci trascende, che ci trova increduli, che per essere assaporato richiede una precisa sequenza liturgica. Nella sua simbologia, lunga quanto l’intera storia della salvezza.