America. Parlare ai “latinos” e ai giovani: ecco le sfide per i cattolici in Florida
Don Thomas Kennell, parroco di Saint John the Evangelist a Panama City (Florida), con i giovani della parrocchia
Se ci si trova in Florida e si vuole andare alla Messa la domenica, si scopre subito che non è affatto facile: lungo le grandi arterie dello Stato molte chiese non sono distinguibili dalle normali case. Facendo un po’ di attenzione, si nota che sul davanti hanno un enorme cartellone pubblicitario di quelli che qui tutti usano per segnalare ai conducenti frettolosi le attività svolte: riporta il nome della chiesa e a seguire un motto, un versetto della Bibbia o, secondo lo stile pratico che contraddistingue gli anglosassoni, gli orari delle celebrazioni e un invito a presentarsi (“Tutti sono i benvenuti”). Talvolta però il nome che si legge è fonte di confusione: in una piccola area di Miami, a una Grace Church (chiesa della Grazia) segue una Cross Church (chiesa della Croce) e poi ancora una Global Church (Chiesa globale). Saranno cattoliche? Certo che no: in Florida si moltiplicano le cosiddette “chiese non denominazionali” che si ispirano genericamente al cristianesimo e presidiano ogni angolo dello Stato.
Sono quindi necessari un po’ di sforzi e di ricerche su internet per trovare, a Panama City, la chiesa di St. John the Evangelist guidata da padre Thomas Kennell, che ci aiuta a fare luce sulla situazione, per certi aspetti ricca di sfide, della Chiesa in Florida. E dire che i cattolici sono arrivati qui ben prima che gli Stati Uniti vedessero la luce, addirittura nel 1565: l’8 settembre gli spagnoli di Pedro Menéndez de Avilés sbarcarono infatti a San Agustín, l’odierna St. Augustine, nel nordest della Florida. Nacquero così il primo insediamento europeo e la prima missione cattolica dei futuri Stati Uniti.
La Florida appariva allora assai inospitale agli occhi degli occupanti, una landa fatta più di acqua che di terra, soprattutto a sud, e popolata da Seminole bellicosi che vivevano nelle paludi delle Everglades e difendevano con orgoglio la propria libertà. Ci vollero così più di tre secoli perché nel 1870 in Florida nascesse una diocesi, quella di St. Augustine, che comprendeva tutto l’attuale Stato. Per molto tempo rimase l’unica, visto che quelle terre continuavano a essere piuttosto deserte: ancora nel 1950 gli abitanti della Florida erano pochissimi, 2,7 milioni su un territorio grande quanto tutta l’Italia del centronord (che ne conta ben 39).
Poi però è cambiato qualcosa: da un lato sono aumentate le migrazioni da altre zone degli Stati Uniti, che proseguono tuttora grazie ai sessantenni benestanti delle regioni più fredde che vanno a trascorrere gli anni della pensione nel Sunshine State, lo “Stato del sole”. Inoltre, a partire dalla fine degli anni Cinquanta sono arrivati in massa i cubani che fuggivano dalla rivoluzione di Fidel Castro, seguiti da altri centro e sudamericani di lingua spagnola e religione cattolica in cerca di occasioni di lavoro, e infine dai portoricani in fuga dall’uragano Maria del 2017. I latinos si concentrano soprattutto nella zona di Miami e talvolta i più anziani non parlano l’inglese: quando hanno a che fare con gli anglofoni può capitare (e a noi è capitato più volte) di vederli chiedere aiuto a chi è bilingue e può fargli da interprete.
Con queste migrazioni siamo arrivati così agli attuali 22 milioni di abitanti, di cui meno di uno su dieci è cattolico (1.889.015 stando alle statistiche della Conferenza episcopale della Florida, ma secondo altri sondaggi sarebbero uno su cinque), e spesso parla come prima lingua lo spagnolo. Le diocesi sono aumentate di pari passo con la popolazione passando da una a sette e la Chiesa gestisce numerosi ospedali e scuole di ogni ordine e grado in tutto lo Stato.
La parrocchia di padre Kennell si trova nella diocesi del nordovest, Pensacola-Tallahassee, dove i latinos sono molto meno rappresentati che nel sud: in chiesa ce ne sono giusto un paio di famiglie, ma per il resto i fedeli sono white Americans. «Eppure», ci dice il sacerdote, «anche qui ci sarebbe bisogno di preti di lingua spagnola. I seminari della Florida e i vescovi della Provincia ecclesiastica di Miami insistono molto perché i seminaristi di madrelingua inglese imparino lo spagnolo almeno quanto basta per amministrare i Sacramenti. Anch’io e altri preti più giovani non latinos abbiamo seguito lezioni in spagnolo e fatto esperienze di full immersion per imparare la lingua».
Oltre alla composizione demografica della platea di fedeli, fra le altre sfide che la Chiesa si trova ad affrontare in Florida c’è come altrove la diminuzione delle presenze giovanili: un recente sondaggio del Pew Research Center rileva un calo dell’adesione anche tra i latinos, tradizionalmente più praticanti dei loro coetanei anglofoni, ma secondo padre Kennell in questo caso si tratta di «una tendenza generazionale comune», non di un problema linguistico. A ogni modo, riguardo a quest’ultimo è ottimista: «Con il tempo saranno sempre di più i giovani sacerdoti in grado di parlare spagnolo in modo da prendersi cura al meglio dei fedeli latinos».
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