L'udienza. Santa Cabrini, una vita da «film» per Dio e i migranti
Santa Francesca Cabrini, patrona dei migranti
«Una vita vertiginosa carica di lavoro, viaggi a non finire a piedi, in treno, in nave, in barca, a cavallo…; creando dal nulla sessantasette opere tra asili, scuole, collegi, ospedali, orfanotrofi, laboratori… tutto per propagare la forza del Vangelo, che le aveva dilatato il cuore perché appartenesse a tutti». Fu questa la vista di santa Francesca Cabrini – o Francesca Saverio Cabrini, il nome che lei scelse in onore del grande gesuita apostolo dell'Oriente – ha ricordato ieri Bergoglio. Il Papa ha ricevuto stamattina in udienza le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, in occasione del primo Centenario della morte della loro fondatrice, nata a Sant’Angelo Lodigiano (Lodi) il 15 luglio 1850 e salita al Cielo, a Chicago, Il 17 dicembre del 1917. Presente, insieme alla madre generale delle religiose cabriniane Barbara Louise Staley, anche l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, nativo di Codogno (Lodi), la cittadina dove la santa iniziò il suo apostolato prendendosi cura di un orfanotrofio affidatole dal parroco.
Quella “battuta” di Leone XIII
Nel cuore di Francesca Cabrini, ha ricordato il Papa, c’era la Cina, come per san Francesco Saverio, ma «fu la lungimiranza di Papa Leone XIII che, con una battuta, le fece cambiare rotta: “Non ad oriente, Cabrini, ma all’occidente!”». La giovane Madre, che aveva da poco fondato le Missionarie del Sacro Cuore, «doveva aprire i suoi occhi per vedere dove Dio la inviava in missione. Non dove lei voleva andare, ma dove Lui aveva preparato per lei la strada, la strada del servizio e della santità. Ecco l’esempio di una vera vocazione: dimenticare sé stessi per abbandonarsi pienamente all’amore di Dio».
Dopo tanti anni, ha continuato Francesco, la realtà dei migranti a cui la santa dedicò la vita è cambiata, ma il fenomeno resta di un’importanza e di un’urgenza immutate. E il carisma della santa lodigiana «è di un’attualità straordinaria», perché «i migranti hanno bisogno certamente di buone leggi, di programmi di sviluppo, di organizzazione, ma hanno sempre bisogno anche e prima di tutto di amore, di amicizia, di vicinanza umana; hanno bisogno di essere ascoltati, guardati negli occhi, accompagnati; hanno bisogno di Dio, incontrato nell’amore gratuito di una donna che, col cuore consacrato, ti è sorella e madre».
«Tutto posso in Colui che mi dà forza»
Dove trasse santa Francesca, esile donna che non era potuta entrare in convento per problemi di salute, una tale energia apostolica («aveva attraversato per ben ventiquattro volte l’oceano per assistere i migranti nelle Americhe, e, instancabile, si era spinta fino alle Ande e anche in Argentina»)? «Fu solo per la sua unione con Cristo, sul modello di san Paolo, da cui prese il suo motto: Tutto posso in Colui che mi dà la forza» ha detto Bergoglio.
E santa Cabrini «visse della spiritualità del Sacro Cuore di Gesù. Passo dopo passo, la sua fu un’esistenza interamente protesa a consolare e a far conoscere e amare il Sacro Cuore. E questo la rese capace di guardare al cuore di quanti avvicinava e assisteva per corrispondervi in maniera coerente».
Ieri a Roma si è celebrata anche una Messa per la chiusura dell'anno cabriniano, celebrata dal vescovo emerito di Lodi Giuseppe Merisi.