«È un pellegrinaggio di pace. Personalmente lo aspetto con grande curiosità e voglio dare a papa Francesco fin da ora il benvenuto mio e di tutto il popolo palestinese».
Muhammad Ahmad Hussein, settimo Gran Mufti di Gerusalemme, sarà tra coloro che incontreranno Bergoglio durante il suo viaggio in Terra Santa. La suprema autorità giuridica sunnita responsabile della gestione dei luoghi santi islamici di Gerusalemme accompagnerà il Pontefice sulla Spianata delle moschee lunedì, come già fece con Benedetto XVI nel 2009. E, tra le difficoltà e le tensioni politiche che si respirano a Gerusalemme, guarda con speranza al prossimo evento.
Il Papa sarà accompagnato da un imam e da un rabbino nell’arco della sua permanenza in Terra Santa: come interpreta questa decisione?
Come musulmano e studioso di islam accolgo volentieri chiunque. È proprio della nostra cultura il valore dell’accoglienza. Non è un mistero che la convivenza a volte è difficile in questa Terra, ma credo che molto spesso la mancanza di dialogo sia causata innanzitutto da una mancanza di incontri tra le persone. Manca la volontà di conoscersi e parlare.
La presenza di un imam e di un rabbino insieme al vescovo di Roma è un fatto storico, dalla portata unica.
Crede che questa scelta possa incentivare il dialogo interreligioso in Terra Santa?
Ne sono convinto, innanzitutto perché vedo chiaramente in questo Papa la volontà di rafforzare e ribadire con fermezza il messaggio che portano – da sempre – tutte le religioni: la promozione della giustizia, dell’amore e della pace. Su questi valori si può realmente costruire un dialogo efficace e duraturo. Da questo punto di vista non esiste una differenza tra cristiani, ebrei o musulmani: tutte le grandi religioni monoteiste proclamano da sempre nel loro credo questi valori fondanti. E anche l’islam non è ostile a nessun’altra religione, noi crediamo fermamente nella convivenza di tutte le fedi e per questo rispettiamo tutti i profeti.
Eppure specialmente i rapporti tra ebrei e musulmani a Gerusalemme non sembrano dei migliori...
Bisogna distinguere tra il governo israeliano e la religione ebraica. Come palestinesi critichiamo fermamente la classe politica attuale, colpevole di un’occupazione che schiaccia il popolo. Ma come uomini di fede siamo aperti al dialogo con gli ebrei, con cui abbiamo in comune tanto.
Recentemente alcuni atti di vandalismo a danno di alcune chiese cristiane sembravano mostrare chiaramente che non tutti sono disposti ad accogliere il Santo Padre. È preoccupato per quest’ondata di odio anticristiano?
Gli atti di vandalismo – lo dico con fermezza – sono pericolosi per tutti, palestinesi e israeliani, perché distruggono l’immagine di un popolo intero. E poi certo, hanno provocato un inutile dolore ai cristiani di Terra Santa e anche a papa Francesco. È lo stesso dolore che io sento ogni giorno, quando vedo i luoghi santi e il mio popolo sotto occupazione. Spero che la visita del Papa porterà anche un po’ di sollievo al mio popolo che soffre da anni, inutilmente. Ma non sono preoccupato, il suo carisma è qualcosa di talmente affascinante che non sarà un piccolo gruppo di fanatici a rovinare il clima di attesa per la sua visita. Francesco è sempre benvenuto, il popolo palestinese è con lui e sappiamo anche quanto lui tenga a noi.
Nel 2009 lei ha anche accompagnato Benedetto XVI. Cosa si aspetta ora da questo incontro con il nuovo vescovo di Roma?
Sono entrambi pellegrinaggi di pace. E anche da questo viaggio, come fu nel 2009, mi aspetto che il dialogo continui. Qui arabi cristiani, arabi musulmani ed ebrei vivono insieme: devono – dobbiamo – dialogare per forza. Mi aspetto che papa Francesco ci insegni a farlo sempre di più: il suo carisma è contagioso.