Il viaggio in Terra Santa. Il Papa: avanti verso unità dei cristiani
Alla Messa hanno preso parte circa 10mila fedeli che hanno
circondato con grande affetto il Papa. Presente anche Abu Mazen che è andato
via poco prima che fosse distribuita la comunione e dopo essere salito sul
presbiterio per abbracciare il Papa al momento dello scambio della pace. Il
presidente non ha potuto ascoltare dunque fisicamente l’appello, ma è probabile
che il Papa gliene abbia parlato durante il colloquio privato di stamattina. Ad
ogni modo anche il segno di pace durante la Messa è una prima volta in
assoluto, che testimonia il clima favorevole in cui si svolge la visita.
Suggestivo il colpo d’occhio della piazza gremita di fedeli, che hanno
partecipato alla liturgia pregando e cantando le musiche intonate dal coro
della Parrocchia dell’Annunciazione diretto dal parroco, padre Ibrahim Shomali.
Al termine della Messa la recita del Regina Coeli durante il quale Papa
Francesco ha rivolto un pensiero a Nazareth, città non toccata dal suo
itinerario, “dove spero di potermi recare – ha detto – se Dio vorrà, in altra
occasione”. Il Pontefice ha incoraggiato la realizzazione del Centro
Internazionale per la Famiglia e soprattutto ha affidato alla Madonna la Terra
Santa e quanti vi abitano. “Alla Vergine Santa – ha aggiunto - affidiamo le
sorti dell’umanità, perché si dischiudano nel mondo gli orizzonti e promettenti
della fraternità, della solidarietà e della pace”. Il patriarca latino di
Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, nel saluto finale ha detto: “Vediamo in Lei,
Santo Padre, una unità totale con il messaggio di Betlemme: pace a tutti gli
uomini”.
Nel pomeriggio il Papa visita la grotta della Natività,
saluta i bambini dei campi profughi di Dheisheh, Aida e Beit Jibrin e poi si
sposta, via Tel Aviv, a Gerusalemme, dove incontra il Patriarca Ecumenico
di Costantinopoli, Bartolomeo I, in occasione del 50° anniversario del primo
incontro tra Paolo VI e Atenagora. La Messa a Betlemme: non ignoriamo le lacrime dei bambiniIl Papa in difesa dei bambini di tutto il mondo. Parte da
Betlemme, città natale del Bambino più famoso della storia, un forte appello di
Francesco a favore dell’infanzia (LEGGI IL TESTO). “I bambini di oggi – afferma nell’omelia
della Messa celebrata sulla Piazza della Mangiatoia – hanno bisogno di essere
accolti e difesi, fin da grembo materno”. Se questo avviene il mondo è più
umano. E’ la seconda tappa odierna del viaggio del Pontefice in Terra Santa. E
dopo le richieste di pace di ieri in Giordania e di qualche ora fa davanti al
presidente palestinese, Abu Mazen, queste parole di Papa Bergoglio, che
prendono spunto dal Vangelo proclamato durante la celebrazione che narra la
nascita di Gesù, diventano un’applicazione concreta degli appelli alla
riconciliazione. In pratica, ricorda al mondo il Pontefice, la pace si
costruisce a partire dai bambini.E invece, ricorda , “purtroppo, in questo nostro mondo che
ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in
condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle
grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati,
maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi
bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente
nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a
Dio, a Dio che si è fatto Bambino”.Francesco sta toccando con mano tali realtà anche in questo
viaggio. Ieri la visita a un gruppo di rifugiati dalla Siria, oggi, arrivando a
Betlemme è passato vicino al muro costruito dagli israeliani, che divide anche
molte famiglie. In un fuori programma, è sceso dall'auto e si è fermato in preghiera per qualche minuti davanti alla barriera di cemento. Nel pomeriggio incontrerà i bambini di un campo profughi. Lo
sguardo del Papa però si estende a tutto il mondo. E invita a fare un esame di
coscienza. “Ci domandiamo: chi siamo noi davanti a Gesù Bambino? Chi siamo noi davanti
ai bambini di oggi? Siamo come Maria e Giuseppe, che accolgono Gesù e
se ne prendono cura con amore materno e paterno? O siamo come Erode, che vuole
eliminarlo? Siamo come i pastori, che vanno in fretta, si inginocchiano per adorarlo e offrono i loro
umili doni? Oppure siamo indifferenti? Siamo forse retorici e pietisti, persone che sfruttano le
immagini dei bambini poveri a scopo di lucro? Siamo capaci di stare accanto a loro, di ‘perdere
tempo’ con loro? Sappiamo ascoltarli, custodirli, pregare per loro e con loro? O li trascuriamo,
per occuparci dei nostri interessi?”.
Il Pontefice prende spunto dal pianto dei bambini. “Il loro
pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e
di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie
facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si
commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano
prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: devono
combattere, devono lavorare, non possono piangere. Ma piangono per loro le madri, odierne Rachele:
piangono i loro figli, e non vogliono essere consolate”.Il messaggio del Papa però è soprattutto un invito alla
speranza. “I bambini sono un segno – dice commentando la pagina evangelica – Un
segno per capire lo stato di salute della nostra famiglia, della nostra
comunità, della nostra nazione”. “Quando i bambini sono accolti, amati,
custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società, il mondo è più umano”,
conclude il Papa.
L'arrivo a BetlemmeAncora un appello di pace. Un appello ad avere “il coraggio della pace”. La seconda giornata di Papa Francesco in Terra Santa si apre così come si era chiusa la prima. “E’ ora di porre fine a questa situazione che diventa sempre più inaccettabile”. E perciò serve “una pace stabile basata sulla giustizia”. Due Stati, chiede il Papa, con confini certi e garantiti. Cambia dunque lo scenario, ma non il tema della visita. Il Pontefice ha lasciato nella prima mattinata la Giordania ed è giunto in elicottero direttamente a Betlemme (fatto senza precedenti nei viaggi dei Papi nella regione). E davanti al presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, definito “uomo di pace e artefice di pace”, (LEGGI IL TESTO) il Papa non si lascia sfuggire l’occasione per rilanciare il processo di pace – attualmente abbastanza stagnante – tra israeliani e palestinesi.
“Si raddoppino – ribadisce nel suo discorso – gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile basta sulla giustizia sul riconoscimento dei diritti di ognuno e sulla reciproca sicurezza. E’ giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e di sicurezza entro confini internazionalmente garantiti”. Affinché ciò si realizzi, prosegue il Pontefice, occorre evitare “da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere a un vero accordo”. La pace, afferma Francesco, “porterà innumerevoli benefici per i popoli di questa regione e per il mondo intero”. Per realizzarla ognuno deve rinunciare a qualcosa. “Pace nella sicurezza e mutua fiducia”, augura dunque il Papa ai “popoli palestinese e israeliano” e alle rispettive autorità. E per i cristiani della regione il Pontefice chiede soprattutto libertà religiosa. “Il rispeto di questo fondamentale diritto umano – riafferma rivolgendosi ad Abu Mazen – è una delle condizioni irrinunciabili della pace, della fratellanza e dell’armonia”. “Le spade si trasformino in aratri” è il suo auspicio finale.
In precedenza il Papa aveva incontrato il presidente palestinese in un colloquio privato di una decina di minuti.