L’ex ministro Ibrahim Shamseddin accenna un sorriso quando il Papa, nel suo primo discorso in aeroporto, ha sottolineato la peculiarità della «felice convivenza tutta libanese». Seguendo le orme di suo padre, l’imam Mohammad Mehdi Shamseddin, per anni a capo del Consiglio supremo sciita del Libano, è impegnato nel dialogo interculturale attraverso un’Ong che ha sede nella periferia sud di Beirut.
Il Papa ha affermato che è venuto anche per dire che la convivenza di cui il Libano vuole dare testimonianza «sarà profonda solo se si basa su uno sguardo accogliente e un atteggiamento di benevolenza verso l’altro». Cosa ne pensa?Tutta la mia esperienza ruota attorno a questo concetto. Nella sede Onu di Ginevra, ho paragonato la convivenza islamo-cristiana in Libano alla formula chimica dell’acqua. Gli uni rappresentano l’idrogeno, gli altri l’ossigeno. Senza l’atomo di ossigeno, nemmeno mille atomi di idrogeno possono fare l’acqua di vita. Per questa io rigetto completamente il discorso, molto diffuso nei nostri ambienti, su minoranze e maggioranze.
Si spieghi meglio.Nella nostra regione non si può parlare di minoranze. Ci sono, invece, due maggioranze: una araba, l’altra islamica. In quanto arabi, i cristiani fanno quindi parte della maggioranza araba. Gli arabi cristiani non sono un altro popolo giunto dall’esterno. Sono parte del tessuto presente e futuro di questa regione. Sarebbe grave se i cristiani si autodefinissero come minoranza. Un simile concetto sarebbe un pericolo anche per noi musulmani. Insistere su questa teoria potrebbe, infatti, portare alcuni musulmani a pensare: «Siete minoranza? Bene, allora noi siamo maggioranza e vogliamo più diritti». In Libano, invece, vogliamo che l’esperienza e la partnership tra cristiani e musulmani possa progredire ulteriormente. E i musulmani hanno maggiore responsabilità in questo compito, più particolarmente gli sciiti.
Per quale motivo?In quanto comunità fondamentale nella sociologia politica del Paese. Una presenza forte ed efficace dei cristiani del Libano è una salvaguardia per i suoi musulmani. È nel nostro interesse di musulmani aver un partner forte, alla pari. Mio padre scrive, infatti, in un libro-testamento: «Penso che sia una responsabilità degli arabi e dei musulmani operare con tutti i mezzi affinché i cristiani d’Oriente ritrovino la loro presenza totale e il loro ruolo nelle decisioni e nel corso della Storia».
Sarà per questo, secondo lei, che il Papa ha scelto, tra tutti i Paesi del Medio Oriente, di venire proprio in Libano. Considero la scelta del Libano del tutto normale in quanto conferma, sulle orme di Giovanni Paolo II, il valore del «Libano messaggio». È la Nazione più vivace nella regione quanto a libertà e democrazia e i suoi cristiani sono i più dinamici. Da questa tribuna la voce del Papa può risuonare in tutta la regione senza restrizione alcuna. Troverà ascolto da parte di tutti. Perché se è vero che l’esortazione si rivolge in primo luogo ai cristiani, non va dimenticato che i musulmani sono suoi «consumatori». Per questo c’è molta attenzione da parte dei musulmani a quello che dirà il Papa ai prossimi incontri.
Il Papa ha parlato di «equilibrio estremamente delicato». Libano-tribuna regionale, ma non immune a quanto succede attorno... Il concetto di immunità non esiste in politica. Gli eventi siriani hanno ripercussioni su molti altri Paesi. Sta ai libanesi dare prova di «reale moderazione e di grande saggezza», come ha chiesto il Papa.