C'è una
bandiera degli Stati Uniti che sventola a Lampedusa, tra la gente
che si raduna in attesa di Papa Francesco. Ce l’ha portata il pensionato
Bruno Brischetto, 70 anni. Lui, l’America l’ha nel cuore: «Venti
anni della mia vita li ho trascorsi in quel Paese, da migrante». Dopo
il Papa, vuole che anche il presidente Obama sbarchi da pellegrino
sull’isola: «Per vedere come sappiamo accogliere i suoi fratelli che
attraversano il Mediterraneo».
Poco più in là c’è uno striscione azzurro sorretto da nonna Maria
Passatempo, accanto ha due bambini, vengono da Sant’Agata di
Militello, c’è scritto «Ti vogliamo bene Papa», e la firma «Francesco e
Giorgia»: «Sono quelli dei miei nipotini, gli stessi nomi del nostro
Papa. Siamo qui in vacanza, mandandoci lui, Gesù ci ha fatto un regalo bellissimo».
Paolo di Benedetto indossa la sua «ferma convinzione», una maglietta
blu con la scritta: «Lampedusa Nobel di pace e solidarietà». Dopo quel
tragico 2011, quando in pochi giorni sbarcarono più migranti che
abitanti dell’isola, seimila contro cinquemila, rimasti a cielo
aperto, sulla nuda terra, ma aiutati dalla gente con cibo e abiti
asciutti, Paolo dice: «Lampedusa merita il Nobel, per quello che ha
fatto». Nel giorno dell’arrivo di Francesco sull’isola più a Sud
d’Europa, a un’ora dalla sua Messa penitenziale per «quelli che oggi
non sono qui tra noi», i migranti morti del Mediterraneo, del suo
contatto con questi lontani fratelli della periferia del mondo, questo
popolo di isolani e di turisti che lo sta aspettando con emozione,
consapevole di essere testimone di un momento storico. Intanto altri
166 migranti sono soccorsi in mare aperto dalla Guardia costiera. Il
barcone in difficoltà stava naufragando. Sfiniti da un viaggio durato
due giorni, ora hanno toccato terra, qualcuno l’ha anche baciata, e
camminano lentamente, proprio dove tra poco il Pontefice poserà i sui
passi e incontrerà altre vite migranti. Molti dei quali musulmani e
qualche cristiano, fratelli della fame, della povertà e della guerra,
che nei giorni passati sono arrivati su quest’isola, scoglio di
salvezza, «faro di solidarietà », come avrà modo di dire il Papa più
tardi alle diecimila persone che lo aspettano nella spianata del campo sportivo.
Papa Francesco arriva di mattino presto, in anticipo, su un «Falcon»
dell’Aeronautica militare italiana partito da Fiumicino, per la sua
visita pastorale. Ad accoglierlo il sindaco dell’isola Giusi
Nicolini, l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, e il
parroco dell’isola don Stefano Nastasi che al Papa scrisse una lettera
invitandolo «a farsi pellegrino in questo santuario del creato dove
per migliaia di migranti, senza patria e senza nome è rinata la
speranza». Ma anche «Mediterraneo che per molti, per troppi si è
trasformato in tomba». «Quando gli sono andata incontro e l’ho
ringraziato per essere venuto – racconta il sindaco ancora commosso –,
lui mi ha risposto: «Sono io che ringrazio
voi per quello che fate. Dovevo venire per forza a Lampedusa, ci sono
ventimila morti sotto il mare e non si può fare finta di niente».
Con la vecchia «Golf» azzurrina di don Giuseppe Calandra, segretario
dell’arcivescovo Montenegro, il pontefice raggiunge Cala Pisana dove
si è imbarcato su una motovedetta della Capitaneria di
porto, la «C.p. 282» per salpare in direzione di cala Maluk, proprio
davanti al monumento dedicato alla Lampedusa dei migranti e intitolato
«Porta d’Europa». In questo tratto di mare e di costa rocciosa, nella
notte tra il 7 e l’8 maggio del 2011, un peschereccio con circa 700
migranti andò a sbattere sugli scogli, tre giovani morirono annegati.
Qui il Papa, scortato da decine di imbarcazioni dei pescatori e
turisti, ha lasciato in mare un omaggio floreale, una corona di
crisantemi bianchi e gialli, per poi raccogliersi in un momento di
preghiera. Raggiunta la terra ferma, e dopo essersi
intrattenuto con un gruppo di migranti sul molo Favarolo che gli
hanno raccontato le loro amare esperienze, dopo essere «fuggiti dal
loro Paese per motivi politici e economici», l’entusiasmo
che accoglie Papa Francesco è incontenibile. Sono migliaia i
fazzoletti e i cappellini che sventolano nell’aria, al passaggio di
quest’uomo semplice che non è venuto con la «papamobile », ma che ha
trovato un jeep sull’isola. Un mare bianco e giallo che è un’
unica onda di gioia. La mano del Papa che saluta è un gesto che
emoziona e la gente vorrebbe stringerla quella mano che sa di affetto e
amore, come quella di un padre rassicurante nel momento del bisogno:
un gesto che sta a simboleggiare la fine di una grande solitudine, per
Lampedusa. «È un uomo semplice che si vede e che soprattutto si
sente. E quando osserva che siamo una società che ha dimenticato
l’esperienza del piangere di fronte a nostro fratello, dice una
verità», osserva un turista bresciano che per l’occasione ha rinunciato a
una mezza giornata di vacanza in spiaggia, e adesso, sotto un sole
cocente, cerca di catturare un poco d’ombra dietro un palo della luce.
Scoccano le 10.30 quando la voce di Francesco si leva dall’altare: una
piccola barca con sopra una tavola di legno: «In nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo». Il Papa invoca il «perdono dei nostri
peccati». «Perdonaci Signore abbiamo peccato», gli fa eco
un’unica grande voce, quella dei fedeli. Proprio dalla parte opposta
del luogo dove si sta celebrando la Messa penitenziale con i paramenti
viola, c’è una casa color ocra, con la gente sul tetto e uno
striscione che recita: «Benvenuto Papa Francesco, sei uno di noi».
Tra la folla sbuca Maurizio, senegalese, nero come la pece. Da 30
anni vive ad Agrigento e d’estate è a Lampedusa con il suo banchetto
di bigiotteria. È musulmano e del Papa ci dice nella sua lingua
«Bahne pur niep», è un uomo buono. Oltre alla curiosità - osserva
Maurizio - . Sono qui perché il Papa dei cristiani è per tutti i
credenti in un unico e solo Dio». Il Papa prima di rientrare a
Roma si intrattiene in parrocchia con don Stefano, il suo vice don
Giorgio e un gruppo di isolani. Un momento di ristoro, durante il
quale Francesco lascia un sua offerta alla Caritas locale per aiutare i poveri dell’isola.
Il sole tramonta. Tra la gente, anche a distanza di ore, continua ad
aleggiare un senso di gioioso stupore. «Il Papa è proprio stato qui».