PAPA FRANCESCO. «L'antisemitismo sia bandito dal cuore di ogni uomo»
Il punto esclamativo scritto sul foglio lo si è percepito chiaramente anche nella voce del Papa. «È una contraddizione che un cristiano sia antisemita. L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!». E infatti quella che Francesco ha pronunciato ieri al culmine del suo discorso alla delegazione della Comunità ebraica di Roma non è solo una frase a effetto, ma la convinzione profonda del Pontefice e di tutta la Chiesa, specie dopo i giganteschi passi avanti fatti nel rapporto tra ebrei e cattolici dal Concilio Vaticano II a oggi, dopo secoli di «incomprensioni» e «ingiustizie».Un ulteriore avanzamento del buon livello di questi rapporti è costituito proprio dall’udienza di ieri in Vaticano, dalle parole del Pontefice e dei suoi ospiti (che lo hanno invitato a visitare la sinagoga come i suoi predecessori), dal clima sereno dell’incontro e dal messaggio del Papa per il 70° anniversario della deportazione degli ebrei di Roma. Tutti elementi di un’unica cronaca che vede al centro dell’attenzione il «mai più» pronunciato a suo tempo da Giovanni Paolo II come punto di non ritorno dell’atteggiamento verso gli ebrei, ma anche una memoria che – come avrebbe detto Cicerone – in questo caso più che mai deve essere maestra di vita, «cosicché la memoria del passato possa insegnare al presente e divenire luce che illumina la strada del futuro».In effetti il Papa, proprio questo ha sottolineato nel messaggio, citando papa Wojtyla e Benedetto XVI. Di quest’ultimo ha fatto proprio un passaggio del discorso ad Auschwitz (maggio 2006) per ribadire che «il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quella da prendere». Perciò, guardando avanti, il Messaggio prosegue: «L’odierna commemorazione potrebbe essere definita quindi come una memoria futuri, un appello alle nuove generazioni a non appiattire la propria esistenza, a non lasciarsi trascinare da ideologie, a non giustificare mai il male che incontriamo, a non abbassare la guardia contro l’antisemitismo e contro il razzismo, qualunque sia la loro provenienza. Auspico che da iniziative come questa possano intrecciarsi e alimentarsi reti di amicizia e di fraternità tra ebrei e cattolici in questa nostra amata città di Roma».Lo stesso augurio il Papa ha rivolto a voce nel suo discorso, facendo accenno anche alla propria esperienza di arcivescovo di Buenos Aires, dove egli aveva ottimi rapporti di amicizia con la comunità ebraica locale (ha anche pubblicato un libro – Il cielo e la terra, Mondadori – a quattro mani con il rabbino Abraham Skorka). «Spero di contribuire qui a Roma, come vescovo, a questa vicinanza e amicizia, così come ho avuto la grazia – perché è stata una grazia – di fare con la comunità ebraica di Buenos Aires».Un auspicio questo prontamente raccolto dai suoi interlocutori. «È indispensabile – ha detto il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna – che tutto ciò che di positivo è stato raggiunto attraverso il dialogo e l’amicizia dai rappresentanti dell’ebraismo e del cattolicesimo venga trasmesso e diffuso capillarmente, non restando limitato solo a coloro che sono stati protagonisti di questa stagione di dialogo finalizzato alla reciproca comprensione». In sostanza serve «una salto di qualità». E il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che ha visto il Pontefice in un colloquio precedente all’udienza, ha aggiunto: «È bene che il pensiero del Papa, secondo cui l’antisemitismo è una contraddizione per il cristiano, esca dalle stanze dei palazzi apostolici e raggiunga le periferie del mondo». Di Segni ha anche affermato di essere rimasto «colpito dalla disponibilità e dalla cordialità del Papa. Abbiamo parlato di tutto – ha detto – dall’esegesi biblica a temi riguardanti l’urgenza sociale». Infine il rabbino ha riferito che «c’è stato un invito a visitare la Comunità ebraica che il Papa ha accolto positivamente».Continuerà così quel «dialogo vitale, dell’esperienza quotidiana – come lo ha definito Francesco – che non è meno fondamentale», di quello teologico. Fu proprio quell’esperienza quotidiana, ha ricordato il Papa, a far fare ai romani di 70 anni fa «la cosa giusta». Cioè «proteggere il fratello che era in pericolo». E questo anniversario «permetterà di ricordarlo».