Gli "ultimi" cui papa Francesco
tende la mano prima di partire dalla Bolivia sono i detenuti.
"La reclusione non è lo stesso di esclusione, perché la
reclusione è parte di un processo di reinserimento nella
società". Tutti possiamo sbagliare e scivolare dalla nostra
dignità, ma tutti possiamo rialzarci. Questo il messaggio del Papa ai carcerati e ai dirigenti del carcere di Palmasola,
a circa 15 chilometri da Santa Cruz, dove è stato accolto con
grande calore, e dove ha stretto personalmente la mano e
scambiato frasi con tantissime persone, passando per diversi
minuti davanti alle transenne, mentre i presenti sventolavano
palloncini gialli e fazzoletti arancioni. Due bimbi di circa tre
anni in maglietta bianca hanno giocato vicino al Papa seduto, e
si sono poi messi a sedere compostamente sul gradino, mentre
parlava monsignor Parraga.
Il penitenziario ospita circa 5.000 carcerati. L'incontro
con Francesco si è svolto all'esterno del Padiglione maschile
"PS 4", aperto alle visite ne ospita circa 2.800, con i quali i
familiari, circa 1.500 persone al giorno, possono convivere in
una sorta di villaggio protetto e gestito dagli stessi reclusi,
con la supervisione di personale di sicurezza dello Stato.
Come ricorda nel suo saluto al Papa a Palmasola mons. Jesus
Juarez Parraga, responsabile nazionale della pastorale
penitenziaria cattolica, in Bolivia la giustizia è molto lenta e
l'84% delle persone private della libertà non hanno una
sentenza definitiva; inoltre il superaffollamento supera il
300%. Anche il Papa, invitando a "lavorare per la dignità in
carcere" e per il "reinserimento", cita gli elementi che
"giocano contro" i detenuti: "sovraffollamento, lentezza della
giustizia, mancanza di terapie occupazionali e di politiche
riabilitative, violenza. "E ciò rende
necessaria una rapida ed efficace alleanza tra le istituzioni
per trovare risposte".
Papa Francesco ha ascoltato le testimonianze di tre
carcerati: un giovane di 33 anni, "figlio di famiglia molto
povera, composta da 14 figli"; una giovane signora che ha
chiesto attenzione ai problemi dei detenuti e tra loro delle
donne incinte, e a cui la commozione ha impedito di concludere
il suo discorso; un ex studente di ingegneria che ora studia in
carcere, "grazie alla università cattolica, l'unica che viene
qui in cella", e che ha denunciato "la negligenza della
giustizia": "non so quanto tempo resterò qui", ha spiegato. E
ha chiesto al Papa di "intercedere per noi verso con il governo,
per una vera giustizia".
Papa Francesco ha rivolto un
discorso partecipe della sofferenza di quanti sono privati della
libertà e cercano un percorso di reinserimento sociale. Ha fatto
appello alla dignità di ogni persona, che, ha detto, non si
perde neppure in carcere. Ha ricordato l'esperienza degli
apostoli Pietro e Paolo, che quando sono stati arrestati, "hanno
pregato e altri pregavano per loro: due azioni che insieme
formano una rete che sostiene la vita e la speranza, ci preserva
dalla disperazione e ci stimola a continuare a camminare, una
rete che sostiene la vita, la vostra e quella dei vostri
familiari". Ha invitato a non rinunciare a "lavorare per la
dignità anche in carcere". Ha sottolineato l'importanza del
"servizio pubblico" in carcere, per "rialzare, non abbassare,
dare dignità e non umiliare, di incoraggiare e non affliggere".
Ha concluso chiedendo preghiere per sé "che anche io commetto
errori - ha detto - e devo fare penitenza".
Lasciato il penitenziario, il Papa avrà un incontro informale
con i vescovi della Bolivia nella chiesa parrocchiale di Santa
Cruz. Poi è partito per il Paraguay dove dopo
la mezzanotte italiana incontrerà autorità e
Corpo diplomatico nel Palazzo presidenziale di Asuncion, dove
terrà il suo primo discorso pubblico.