Famiglia, dialogo, nuova evangelizzazione. È lungo queste tre coordinate, con sullo sfondo un’idea dell’
essere Chiesa forte, sì, mai però autoritaria, che Benedetto XVI ha centrato il tradizionale discorso alla Curia Romana che, ogni anno, si svolge a ridosso delle festività natalizie per lo scambio di auguri tra il Papa e i suoi collaboratori più stretti. Discorso in cui, più che un bilancio del 2012, il Pontefice ha voluto spiegare, approfondire, chiarire ulteriormente i tre temi che, con evidenza sempre maggiore, ha messo al centro del suo magistero, mostrandone i nessi che, imprescindibilmente, li legano l’uno all’altro.Così, al primo posto, Benedetto XVI non a caso ha messo la questione della famiglia, perché, ha spiegato, non si tratta solo di una «determinata forma sociale», ma in essa è racchiusa la questione dell’uomo stesso, «di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto». Una questione che non vede la Chiesa «da sola»; e non a caso, nell’analizzare le ragioni che hanno portato all’attuale crisi della famiglia e al «fraintendimento dell’essenza della libertà umana» e in definitiva «di ciò che in realtà significa l’essere uomini», ha citato le riflessioni del gran rabbino di Francia Gilles Bernheim, mettendo poi l’accento su come gravino sulla famiglia le minacce poste ad essa dalla «filosofia della sessualità» e dalla teoria del «gender», secondo cui il sesso «non è più un dato originario della natura», bensì un ruolo sociale «del quale si decide autonomamente».Analogamente, densissimo è il capitolo che Benedetto XVI dedica alla questione del dialogo tra le religioni, che, dice, «nella situazione attuale dell’umanità, è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose». Fondamentali, in questo, appaiono i punti che, da un lato, devono caratterizzare questo dialogo e, dall’altro, non devono far confondere questo «con la missione, con l’evangelizzazione». Punti che papa Ratzinger scandisce con grande chiarezza, a porli quasi come un
vademecum per chi in questo sforzo è impegnato. Così, se la prima dimensione del dialogo «sarà innanzi tutto semplicemente un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica», in cui «non si parlerà dei grandi temi della fede» quanto piuttosto «dei problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l’umanità», la prima cosa necessaria è «imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso». Ma in proposito, Benedetto XVI corregge o, per meglio dire, ri-orienta, quelle che oggi sono considerate le «regole fondamentali» del dialogo, e che cioè «il dialogo non ha di mira la conversione, bensì la comprensione», e dunque, come detto, «in questo si distingue dall’evangelizzazione», e che «conformemente a ciò, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri”». Per il Papa, queste sono sì «regole giuste», ma formulate in questa forma «troppo superficialmente». Perché «la ricerca di conoscenza e di comprensione vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità». Certo, ha osservato, «non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo che è la verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri».Quanto all’evangelizzazione, essenziale, per il Papa, è ricordare come «la parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di conoscere Gesù più da vicino». Dunque «questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita, nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo». Vuol dire «entrare nella comunione itinerante dei catecumeni, che è una comunione di approfondimento e, insieme, di vita, in cui il camminare con Gesù ci fa diventare vedenti».