L'anniversario. Paolo VI e l'idea di una Chiesa che è voce di chi non ha voce
Nel Vespro inoltrato del 6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione del Signore, moriva nella cittadina di Castel Gandolfo, Paolo VI il Papa del dialogo. Si prodigò da giovane sacerdote nell’attenzione spirituale culturale e sociale dei giovani universitari della Fuci; a loro fece sentire l’importanza di spendersi per dare un personale contributo all’edificazione di una società democratica alla luce del Vangelo, fondata sulla promozione della dignità della persona nella vita familiare, nel mondo del lavoro, nella cultura e nella vita civile. Educò a una vita cristiana aperta alla carità e irrorata dalla liturgia, che voleva fosse pregata nella lingua materna e nello spirito monastico sperimentato da lui sia nel monastero di Engelberg in Svizzera, sia in quello di Camaldoli. Proprio questo tipo di formazione di impronta liturgica e culturale disturbò l’ambiente dei giovani studenti legati ai gesuiti che tramite padre Agostino Garagnani fecero pressioni perché Montini fosse sollevato da assistente nazionale della Fuci. Fu per lui una prova non da poco: ne dà testimonianza la lettera che egli inviò al suo vescovo di Brescia. Montini fu sempre attento a una presenza di Chiesa quale lievito nel mondo moderno per offrire ad esso quell’«anima » spirituale che dona senso e spessore interiore e solidale all’uomo moderno. In tal senso appoggiò l’iniziativa del cardinal Emmanuel Suhard di Parigi per una pastorale d’ambiente (siamo nel 1947) che fosse un «fermento interiore» per raggiungere il cuore delle masse, non escludendo il prete nelle fabbriche. Seguì con interesse l’area della Nouvelle Théologie, tanto che in una lettera pastorale da arcivescovo di Milano citò apertamente il gesuita padre Henri-Marie de Lubac e nel suo operato spirituale fece riferimento al pensiero di Jacques Maritain per contribuire a quell’umanesimo integrale di attenzione e di solidarietà ai valori della persona umana anche nella Chiesa.
Questo Montini realizzò a Milano con i lavoratori, volendo la presenza delle Acli, ovviamente in un’attenzione non solo orizzontale ma anche verticale. Su questo fronte fu solerte e non risparmiò le sue preoccupazioni su certe scelte. Montini certo fu attento all’evolversi delle problematiche della vita moderna, ma mai trascurando quell’impegno di testimonianza evangelica e di attenzione alla vita spirituale che rende l’uomo completo e veramente degno della sua umanità. Fu lui che durante la guerra, nel 1941, si prodigò per la Santa Sede ad avviare un’opera caritativa a favore della Grecia con la collaborazione di monsignor Angelo Roncalli. Tentò, anche con l’ausilio della principessa Maria Josè di Savoia, nel 1942, di operare per far uscire l’Italia dalla guerra con onore e senza danni. Appoggiò Maritain nel chiedere a Pio XII una pubblica condanna contro il razzismo, nonostante la silenziosa e preziosa opera del Pontefice a favore degli ebrei. Fu proprio di Paolo VI il richiamo a edificare la «civiltà dell’amore», chiedendo concretamente all’Onu l’impegno per il disarmo e la cessazione dei conflitti per lasciare il posto al dialogo e ai negoziati. Da Papa continuò il Concilio. Volle la riforma liturgica con precisione e pastorale attenzione. Volle una Chiesa povera, cioè – come scrisse lui stesso – libera di presentarsi all’umanità sia come madre e maestra, ma principalmente come amica e voce di chi non ha voce, soprattutto per i popoli in via di sviluppo, i gitani, i lavoratori, gli sfruttati.
Quel 6 agosto 1978, dopo essere stato ricevuto privatamente da Paolo VI il giorno 3 quale nuovo presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini tornò a Castel Gandolfo per rendere omaggio con profonda commozione alla salma del Pontefice bresciano. Lasciando il Palazzo Apostolico, così si espresse con chi lo accompagnava: «L’umanità con la morte di Paolo VI perde un vero e grande amico e il mondo ora è più povero».
* Vicario episcopale per il laicato e la cultura della diocesi di Trieste
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