Chiesa

Verso Philadelphia. Paglia: non disperdere il tesoro del Sinodo

Luciano Moia venerdì 12 dicembre 2014
 Nella storia del Vangelo il primato spetta all’incontro, cioè alla creatività pastorale, non alla dottrina. Anzi, sono gli incontri all’insegna della misericordia che determinano poi lo sviluppo dottrinale. Su questa premessa l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia – all’indomani della diffusione del nuovo questionario per il Sinodo ordinario e della lettera del Papa che conferma la sua partecipazione all’Incontro mondiale di Philadelphia, nel settembre 2015 – fonda la speranza di dare concretezza alla svolta pastorale avviata, per non «disperdere il tesoro» accumulato in questi mesi di incontri, dibattiti, riflessioni. Siamo a metà strada di un cammino sinodale che si annuncia come una svolta straordinaria per la pastorale familiare. Il prossimo anno avremo anche l’Incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia. Quali speranze e quali timori alla vigilia di questo doppio appuntamento? Credo che il cammino di riflessione che la Chiesa sta facendo sulla famiglia – cammino esemplare che tante altre a istituzioni dovrebbero prendere ad esempio – mostra l’intelligenza pastorale della Chiesa, davvero maestra in umanità. Papa Francesco chiede, dopo il Sinodo straordinario, che si torni a riflettere ancora in vista di quello ordinario, come se il cammino fatto finora richiedesse ulteriore approfondimento. Il tema tuttavia non è innanzi tutto di natura dottrinale. L’apporto riguarda in particolare la creatività pastorale, ossia la creatività in quel-l’arte dell’accompagnamento che non è una formula ma appunto un discernimento e per questo richiede un’attenzione ancora più profonda. A questo proposito, nell’introduzione del nuovo questionario diffuso martedì si raccomanda di evitare risposte 'secondo schemi e prospettive proprie di una pastorale meramente applicativa della dottrina che non rispetterebbe la conclusioni dell’Assemblea sinodale straordinaria'. Significa che la pastorale, per essere adeguata alle tante emergenze familiari del nostro tempo, dev’essere già un passo oltre la dottrina? Non c’è dubbio che il primato nella vita della Chiesa spetta all’incontro con Gesù e all’incontro tra di noi, compreso quello con i poveri. La storia evangelica non corre sul filo delle ideologie o della dottrine, fossero anche le più elevate e brillanti. La tradizione evangelica è un intrecciarsi di incontri all’insegna della misericordia. E da essi che emerge la dottrina. Quello spirito che esorta a vivere un 'anno di grazia' è lo stesso che ci deve rendere abili a trovare le parole e a determinarne i concetti. Nella stessa introduzione si specifica che il cammino in questo senso è 'ormai tracciato' e che dobbiamo essere pronti a 'riconoscere l’opera libera del Signore anche fuori dai nostri schemi consueti'. Dobbiamo quindi ammettere che alcuni schemi pastorali ci hanno finora impedito di accompagnare la vita delle famiglie in modo efficace? Comincerei a rispondere dall’esempio del Sinodo: esperienza di grande libertà e creatività. In tal senso ci è chiesto non solo di lucidare a nuovo la pastorale finora messa in campo, o se si vuole di ripettinarla per bene, ma di cercare di un’ispirazione nuova di tutta la pastorale. E, per questo, oserei dire che ci è chiesto non tanto un adattamento quanto un’ispirazione dell’intera pastorale in uno spirito familiare che sconfigga individualismi e protagonismi, e ci aiuti ad accompagnare tutte le età della vita perché nessuno sia lasciato solo, riscoprendo così quel legame – oggi purtroppo molto debole – che si deve realizzare tra famiglia e comunità cristiana. Nell’introduzione al terzo gruppo di domande, quelle relative alle prospettive pastorali, si invita a tenere presente la 'svolta pastorale' che si è cominciata a delineare e si raccomanda di non 'ricominciare da zero'. Vuol dire che la tentazione di fare un passo indietro rispetto a quanto emerso dal Sinodo può essere un rischio? Può esistere la tentazione della fuga in avanti ma, certo, anche quella del gambero. La tradizione della Chiesa è per sua natura viva e deve seguire la legge dello sviluppo graduale perché nulla sia irrigidito e possa crescere nella consonanza ampia della comunione. Solo in questo modo l’ombra della misericordia può raggiungere le pieghe più nascoste della vita quotidiana. In questo senso si può parlare di un vero e proprio itinerario di crescita. Abbiamo già percorso un cammino, prima con il questionario diffuso nel 2013, poi con il Concistoro, quindi con il dibattito sinodale ed ora – proprio perché non abbiamo corso invano – abbiamo tra le mani un piccolo tesoro. Sarebbe davvero irresponsabile metterlo sottoterra per paura. A proposito dell’accoglienza alle famiglie ferite, al di là delle iniziative compiute, si ci domanda quali passi si potrebbero ancora compiere per 'far sperimentare loro la misericordia del Padre'. Quali potrebbero essere concretamente questi passi? Credo che papa Francesco sia stato molto chiaro, e non da questi giorni. Il primo nutrimento di cui hanno bisogno le famiglie ferite è la vicinanza della comunità cristiana. Se posso riprendere l’esempio del Buon Samaritano, direi che il primo bisogno di quell’uomo assalito dai briganti era la prossimità. In questa logica dobbiamo superare quegli egoismi, quelle pigrizie, quei giudizi rigidi, quelle cecità che offuscano tanti di noi, per prendere sulle nostre spalle coloro che hanno bisogno di aiuto. Sì, dobbiamo aiutarli ad uscire da ogni tristezza. Su questa strada è certamente possibile l’integrazione nella Chiesa. Sarò lo Spirito che ci suggerirà le vie della guarigione. In questo itinerario come si pone l’evento di Philadelphia del prossimo settembre? Non c’è dubbio che le giornate mondiali di Philadelphia, a differenza degli altri eventi analoghi del passato, hanno un particolare significato perché si realizzano all’interno del cammino sinodale. Nella lettera che il Papa mi ha inviato, si sottolinea questo legame per favorire in ogni modo l’emergere della bellezza della famiglia. A me piace immaginare l’evento di Philadelphia come una grande, straordinaria festa della famiglia che accompagna i partecipanti al Sinodo. Una grande festa che si lega alla grande speranza del Sinodo.