Chiesa

La lettera del Papa. Padre Lombardi: siamo tutti coinvolti nella lotta alla pedofilia

Enrico Lenzi martedì 21 agosto 2018

«Un forte richiamo a tutto il popolo di Dio» e una Lettera che si pone «in continuità su questo tema con il suo predecessore Benedetto XVI». Per padre Federico Lombardi, per molti anni direttore della Sala Stampa Vaticana, la Lettera diffusa lunedì 20 agosto sul tema degli abusi sui minori, appare come la risposta forte che ci si attendeva da Francesco davanti ai risultati dell’inchiesta in Pennsylvania.

È la terza volta che un Papa scrive una lettera sulla pedofilia. Ma questa volta lo fa rivolgendosi a tutto il popolo di Dio. Come vive questo momento?
Mi pare che la novità di questo documento, così forte ed accorato, stia proprio nel rivolgersi proprio a tutto il popolo di Dio, per renderlo consapevole della drammaticità della sfida e dell’urgenza di una conversione solidale. Nei due casi precedenti si guardava a situazioni specifiche (Irlanda e Cile), oggi il coinvolgimento è di tutti, anche nelle situazioni dove per fortuna non si sono verificati episodi di questo tipo o di tale portata. È una risposta globale ad un problema globale. E poi non bisogna dimenticare che le vicende cilene, il caso dell’ex cardinale McCarrick e l’indagine del Gran giurì in Pennsylvania hanno creato preoccupazione e sconcerto nell’opinione pubblica internazionale. Credo che tutto questo è ben presente a papa Francesco che con questa Lettera è tornato a ribadire la sua posizione e quella della Chiesa sul tema degli abusi, ma coinvolgendo tutti noi in un percorso di consapevolezza e attenzione al tema. E poi siamo alla vigilia di un viaggio in Irlanda, uno dei paesi scossi dagli scandali.
E proprio all’Irlanda scrisse otto anni fa Benedetto XVI, in quella che possiamo chiamare la prima lettera sulla pedofilia. Era il 2010. Come viveste quel momento?
Quella Lettera di Ratzinger affrontava per la prima volta il tema in modo sistematico e con un ampio spettro d’azione. Lo riconosce lo stesso Francesco nella sua Lettera dell’altro giorno, ricordando anche le parole scritte dall’allora cardinale Ratzinger nelle meditazioni della Via Crucis del 2005 dove si parlava della sporcizia nella Chiesa. Diventato Papa, Ratzinger ha cercato di affrontare il tema nella sua ampiezza puntando su alcuni aspetti ripresi tuttora da papa Francesco: riconoscere il crimine, vicinanza alle vittime, ristabilire la giustizia, curare le ferite, rafforzare la responsabilità pastorale nella formazione del clero. Insomma sviluppare una cultura di prevenzione e tutela dei minori.

Otto anni dopo, però, papa Francesco scrive un’altra lettera. Sembra che questa cultura fatichi a farsi strada. Oppure vi è un’altra lettura del documento?
La prima novità sta nel fatto di essersi rivolto a tutto il popolo di Dio, chiamandolo in causa in questo percorso di attenzione e conversione. Una scelta che nasce dall’idea che Francesco ha del rapporto tra autorità e popolo di Dio: quello del servizio e non quello del clericalismo, ossia del potere. E poi vi è un allargamento di prospettiva unendo agli abusi fisici, quelli sulla coscienza e proprio di potere. Una connessione che denuncia in tutti i casi il mancato rispetto della dignità della persona. Mi pare un punto importante, perché gli abusi fisici soprattutto se commessi da sacerdoti sono anche abusi di potere e di coscienza. Il fatto che otto anni dopo Francesco abbia scritto questa lettera non lo leggerei come l’assenza di cambiamenti, ma una cultura non si cambia con un colpo di bacchetta magica. Ecco il riferimento alla corresponsabilità del popolo di Dio in questo cammino. Riformare un organismo o un dicastero non basta, il vero cambio, ci dice Francesco, sta nel modo di essere Chiesa da parte di tutto il popolo di Dio.


Padre Zollner in una intervista qualche giorno fa ha detto che sulla lotta agli abusi la Chiesa si gioca molto. Condivide?
È sicuramente un punto critico per la sua credibilità. Ci viene chiesta coerenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo. Mi pare importante restituire credibilità alla Chiesa, con discorsi, atti e procedure. Lo dobbiamo alla nostra tradizione millenaria in campo educativo, formativo e sociale, che ci ha sempre visti impegnati accanto e con i bambini e i giovani. La Chiesa ha una tradizione straordinaria in questo campo nel suo passato e nel presente. Che tutto questo venga messo in ombra, minato dalla sfiducia causata dai crimini commessi, è drammatico. Ma non dobbiamo scoraggiarci.
Papa Francesco ha creato una commissione per la tutela dei minori e per la lotta contro gli abusi. Quali traguardi ha raggiunto e quali passi deve ancora compiere, a suo avviso?
Sono risposte difficili per chi come me non fa parte di tale commissione. Credo che in realtà nel guardarne i risultati non si debba mai dimenticare i suoi veri compiti. Qualche critica e delusione nascono proprio dalle diverse aspettative, quasi si trattasse di una commissione di inchiesta. Certo deve guardare al passato e al presente, ma con uno sguardo rivolto al futuro, a come prevenire, a come far proposte per proteggere meglio i minori.
Insomma a creare quella nuova cultura di prevenzione?
Direi di si. E la lettera di Francesco indica il percorso per passare da una cultura del nascondere a quella di affrontare il tema con trasparenza, con procedure chiare e decise. E vorrei far notare, senza sminuire la gravità delle cose emerse in Pennsylvania, che là dove le buone pratiche sono state messe in atto dei risultati ci sono: lo stesso rapporto americano dice che in 70 anni ci sono stati 301 preti che hanno abusato, ma che negli ultimi dieci anni i sacerdoti sono solo 2 e sono stati denunciati. Ecco che i segnali di inversione di tendenza si possono cogliere.
E al popolo di Dio che vive in Italia, cosa dice la lettera di Francesco?
Richiama tutti noi a quel senso di corresponsabilità sul tema. È un forte invito a essere consapevoli di questa cultura della prevenzione e della tutela. In questo quadro credo che sia un aiuto alla stessa Chiesa italiana che ha in programma la revisione delle linee guida contro la pedofilia che risalgono a un periodo precedente e a un’impostazione oggi superata.
Benedetto XVI e Francesco hanno incontrato spesso vittime di abusi. Quale e stato il clima di questi incontri?
Ascolto rispettoso e partecipativo delle vittime, con il desiderio di condividere il loro dolore e pregare insieme. Del resto quando si è iniziato ad ascoltare le vittime, si è provata quella vergogna e quel dolore di cui parla Francesco, che è il punto di partenza per il cambio di atteggiamento.