Il profilo. Pasolini, nuovo predicatore del Papa: sarò semplicemente me stesso
Padre Roberto Pasolini durante l'intervista a "Soul" su Tv2000
Le sue omelie alla Messa festiva delle 21 – sempre affollata – celebrata nella chiesa milanese di San Francesco, tutt’uno con il convento dei Cappuccini di piazza Velasquez e allo storico Centro culturale Rosetum – sono per tanti come una borraccia di acqua fresca per la traversata di una settimana. Padre Roberto Pasolini da sabato 9 novembre è il nuovo Predicatore della Casa Pontificia, nominato dal Papa per succedere a padre Raniero Cantalamessa che lascia questo incarico – affidato dal 1743 a un frate minore cappuccino – dopo ben 44 anni, appena varcata la soglia dei 90.
Di anni, Pasolini, ne ha 53 – compiuti, il 5 novembre –, un legame vivo con i giovani che in gran numero ne frequentano liturgie, riflessioni e i cicli delle “Dieci parole”. Milanese, frate dal 2002 e sacerdote dal 2006, è docente di Esegesi biblica alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale. La sua frequentazione viva e intima della Parola, nutrita da una spiritualità intensa (ne ha scritto nel recente Iniziazione alla preghiera, edito da San Paolo), fluisce in una predicazione coinvolgente che rende Dio presente e vicino a ciascuno, un Padre che ama pazzamente ogni suo figlio, conducendolo al bene per strade sorprendenti, da scoprire con la fiducia che dentro c’è un progetto di pienezza, fuori da compromessi e rassegnazioni: scomodo, impegnativo, inimmaginabile. È lungo questo viaggio della vita che, insieme a padre Roberto, si incontra un Gesù che sembra di non aver davvero mai conosciuto – non così “vero” –, umanissimo e divino, una compagnia esigente e illuminante sul mistero della vita personale.
L’ascolto delle sue omelie è un’esperienza talmente incoraggiante, ma allo stesso tempo diretta e senza sconti, che la loro puntuale registrazione online (gli audio nel suo canale Youtube) raccoglie ogni settimana centinaia di ascolti. Non sorprende che Pasolini sia diventato uno dei più apprezzati (e impegnati) predicatori di esercizi spirituali, animatore di incontri con giovani (seguitissimo il suo ciclo delle Dieci parole), direttore spirituale di fidanzati, confessore, amico di tutti quelli che ne cercano la parola cordiale e accogliente. E anche autore spirituale: dopo la sua trilogia sul peccato e la grazia (“ Non siamo stati noi. Fuori dal senso di colpa”; “È stato Dio. Dentro una vita nuova”; “Saremo noi. Immersi nell’amore più grande”) ha impressionato Un giorno smetteremo di morire, narrazione di respiro autobiografico (illuminante l’intervista di Monica Mondo per Soul su Tv2000).
«I sentimenti che provo in questo momento sono ambivalenti – riflette Pasolini parlando con Avvenire –: da una parte provo una grandissima gioia e gratitudine per una chiamata grande, meravigliosa che ho ricevuto, dall’altra un senso di timore e inadeguatezza davanti a un compito che mi sembra enorme e di fronte al quale mi sento così piccolo. Provo ad aggrapparmi a ciò che in momenti come questo mi fa sempre camminare con speranza: se Dio ora mi chiede di compiere questo passo mi darà anche la forza di attraversarlo. Di certo raccogliere l’eredità di padre Raniero Cantalamessa, del quale sono sempre stato sin dal mio ingresso nell’ordine un profondo estimatore per le sue meditazioni e i suoi libri, trovando sempre in lui una grande ispirazione, mi dà la vertigine. Provo a credere che se ora è a me che viene chiesto di portare avanti questa tradizione, che ha un grande valore per la Chiesa e anche per il nostro ordine, vorrà dire che potrò farlo in un modo che corrisponde a me e in cui potrò manifestare semplicemente me stesso, senza sentirmi nella necessità di un confronto con chi mi ha preceduto. Avanzo con gioia e timore, e con grande fiducia che sarò comunque accompagnato da tutte le persone che mi hanno aiutato in questi anni a maturare la comprensione della Parola di Dio. E proverò a farla risuonare nel cuore della Chiesa, affidandomi al Signore».
Il passaggio di testimone dopo tanti anni pone sulle spalle di Pasolini – come lui stesso riconosce – un’eredità di grande spessore: umana, spirituale, teologica. Ed ecclesiale: «Sono al quarantaquattresimo anno di attività – disse nel luglio scorso padre Cantalamessa ad Avvenire per i suoi 90 anni –. Calcolando in media otto prediche l’anno, tra quelle di Avvento e quelle di Quaresima, risultano 352 prediche, corrispondenti a tantissime ore del tempo del Papa. Una bella responsabilità. Quando qualcuno mi chiede il perché di questo, rispondo – e non sto scherzando – che il motivo è che i Papi si sono probabilmente resi conto che quello è il posto dove il padre Cantalamessa può fare meno “danno” alla Chiesa...». Di sé dice che «ho continuato per tutta la vita a fare quello che facevo da bambino, quando portavo acqua ai mietitori nel campo dei nonni durante la Seconda guerra mondiale. È cambiata solo l’acqua che porto – la Parola di Dio –, e sono cambiati i mietitori, tra i quali tre pazientissimi Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco». Un’immagine simbolica che torna in un suo libro-intervista, Il bambino che portava acqua (edito da Ancora). A quella fonte che zampilla ora si accosta padre Pasolini. Con l’identica umiltà, e lo stesso fuoco interiore.