Parla il vescovo Mariano Crociata. Pace e unità pilastri dell'Europa
Papa Francesco con la delegazione della Comece ricevuta in udienza qualche giorno fa
Unità e pace. Sono le parole chiave, l’origine e insieme l’obiettivo cui orientare presente e futuro dell’Europa. Il perimetro entro il quale si gioca la radice stessa di un sogno comunitario che appare un po’ scolorito. Il Papa lo ha sottolineato giovedì scorso ricevendo l’Assemblea plenaria della Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea) la cui delegazione era guidata da monsignor Mariano Crociata, il nuovo presidente, eletto il giorno prima. «Sappiamo quanto il tema dell’unità sia delicato e complesso per l’Europa – spiega il vescovo di Latina-Terracina- Sezze-Priverno già segretario generale della Cei – e ogni nuova crisi sembra metterla in difficoltà. Il Papa ribadisce che la si può realizzare nella diversità, raccogliendo l’originalità e l’identità di tutti. Ha usato l’immagine degli affluenti di un fiume, senza i quali la corrente non è in grado di portare avanti il corso della storia. E invece su questioni come le migrazioni le diversità rischiano di diventare divisioni e l’unità a volte vorrebbe imporsi cancellando le originalità.
l vescovo Crociata presidente Comece - Cristian Gennari
L’altra parola chiave è pace.
Che va promossa partendo dalle radici. Il Papa, citando i fondatori, ha evocato il bisogno d’Europa che nasce nel secondo dopoguerra, dalle distruzioni immani. Questa memoria andrebbe ravvivata in un momento come l’attuale che sembra riportarci al passato con un tipo di guerra che credevamo non potesse tornare. In molti abbiamo dato per scontato che non ci sarebbe più stato un conflitto di questo genere.
Le due parole indicate dal Papa sono collegate.
Certo. Più siamo uniti e più si è capaci di operare in pace. E viceversa, perché la pace cercata consapevolmente predispone all’unità.
Lei stesso subito dopo l’elezione a presidente ha espresso la preoccupazione per il tempo presente e l’importanza che l’Europa recuperi la sua vocazione originaria.
Io e i miei confratelli siamo convinti che rappresenti il nostro compito. In tutto questo il magistero del Papa è un riferimento sicuro. Oltre a quello dell’altro giorno abbiamo cinque suoi grandi discorsi, sull’Europa e all’Europa, che indicano la visione che come Chiesa e in generale da cristiani dovremmo avere per operare in maniera feconda al servizio del bene del continente. Noi ci sentiamo protagonisti in quest’Europa, perché è nata da cattolici e perché sentiamo che la nostra fede si esprime pienamente nell’apertura continentale e mondiale. Il che rende ancora più drammatica la consapevolezza del tempo che viviamo e del senso di necessità del compito cui siamo chiamati.
L’altro grande tema che inquieta l’Europa riguarda i migranti. Non si tratta più di emergenza ma ormai di un problema strutturale.
È una delle fonti maggiori di divisione, di contrasto ma anche di indifferenza tra i vari Paesi. L’Europa fa fatica a trovare unità in generale ma in modo particolare su questo tema. Credo che la questione di fondo stia soprattutto nel modo con cui il problema viene rappresentato. Purtroppo la ricerca di un consenso immediato e la strumentalizzazione populista porta in tanta opinione pubblica un clima di paura spropositato o comunque non sempre del tutto motivato verso i migranti. Siamo di fronte a una visione distorta alimentata in alcuni casi a bella posta. Paradossalmente la gente teme i migranti ma ne ha bisogno. E quando li incontra personalmente stabilisce con loro un rapporto positivo.
Cosa fare per cambiare atteggiamento?
Occorre coltivare una maturazione culturale. E c’è bisogno di un’informazione corretta sui dati e sui flussi. Sembra che gli arrivi via mare siano l’unica forma di ingresso di stranieri irregolari quando invece ne arrivano di più per altri confini. Quello che dovremmo far capire, anche come coscienza civica collettiva, è che ci troviamo di fronte a un fenomeno che andrebbe governato e non lo è. Ciò che non va sono gli ingressi in modo disordinato e la distribuzione iniqua tra vari Paesi, alcuni dei quali sottoposti a una pressione esorbitante mentre altri cercano di resistere a ogni arrivo. Quindi: razionalizzare e governare il fenomeno sino alla fonte, fino ai Paesi da cui queste persone si muovono.
Vanno regolati i flussi.
Sì, anche per evitare il dramma di clandestini, di irregolari che potrebbero essere accolti in maniera ordinata mentre sono abbandonati a se stessi finendo a volte per creare inquietudine e tensione sociale. Ma, ripeto, il problema è la mancanza di gestione del fenomeno, non è legato in sé alla presenza di chi arriva da fuori. Del resto conosciamo quanta fecondità e ricchezza portano da anni gli stranieri in Italia e negli altri Paesi.
Razionalizzazione degli ingressi, regolarizzazione dei flussi, senza però dimenticare il dato umano. Purtroppo la strage di Cutro insegna.
La mancanza di governo del fenomeno porta a questa situazione. Di certo andrebbe affrontata la questione libica che è una fonte di malessere generalizzato, di disgrazie e disastri spesso alimentati o provocati dalla mancanza del dovuto intervento di aiuto verso chi rischia di annegare. Noi che reputiamo l’Europa la culla dei diritti umani poi dimentichiamo quelli delle persone più disgraziate. Come se chi è povero fosse meno umano, avesse meno diritti. Serve una politica più coerente con i principi cui diciamo di ispirarci.
La Comece come organismo ha un’interlocuzione privilegiata con i vertici politici dell’Unione europea. Come avviene?
Secondo due modalità. Una più informale, ordinaria, attraverso il segretariato, in primo luogo il segretario stesso, e gli esperti che vi lavorano con grande competenza e puntualità. Nel tempo si è costruita una rete di contatti che permette un dialogo a vari livelli operativi per una comprensione migliore di quanto avviene a livello di Unione europea e la segnalazione di esigenze, di istanze, di proposte.
C’è è poi un secondo livello.
Più informale e istituzionale con una periodicità e una occasionalità che varia a seconda delle circostanze e dei momenti che Commissione e Parlamento compiono e vivono. In passato è stato assicurato almeno un incontro annuale della Commissione europea con i rappresentanti delle religioni, l’occasione per mettere a fuoco alcuni temi. Adesso sembra esserci meno disponibilità, lo constatiamo anche dalla fatica con cui è stato nominato il delegato per la promozione della libertà religiosa e di credo. L’articolo 17 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea dice che il dialogo con le Chiese, con le religioni dev’essere ordinario, strutturato e fiduciale. Svolto dunque con una certa sistematicità. Speriamo e ci adoperiamo perché questo dialogo recuperi una dimensione più ordinata e organica.