MILANO. L'omelia del card. Scola nel ricordo di don Giussani «L'uomo post-moderno ha bisogno di testimoni»
1. «Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo» (Prima Lettura, Qo 8,8).L’autore del Libro di Qoèlet, un “Predicatore” tristemente smaliziato vissuto all’inizio del II secolo a.C. che si immedesima con il re Salomone, indaga con crudo realismo la precarietà dell’umana esistenza. In particolare è scandalizzato dall’impossibilità di fare giustizia nella storia degli uomini: «Ho visto malvagi condotti alla sepoltura» - anche loro non sono in grado di trattenere il loro soffio vitale (Prima Lettura, Qo 8,10). Questo calcolato oblìo è intensificato dal fatto che «contro la cattiva azione non si pronuncia una sentenza immediata. Per questo il cuore degli uni è pieno di voglia di fare il male» (cfr Prima Lettura, Qo 8,11). La profondità della constatazione («ho visto» è l’espressione che Qoèlet usa più volte) è pari solo alla sua straordinaria attualità. Qoèlet non si limita infatti a rilevare l’inevitabilità della morte che, come un rumore di fondo, accompagna la vita di tutti gli uomini. Neppure si ferma all’angosciosa domanda: «L’uomo infatti ignora che cosa accadrà; chi mai può indicargli come avverrà?» (Prima Lettura, Qo 8,7). Entra nel quotidiano della esistenza in cui si mescolano verità e menzogna, bene e male, giustizia e ingiustizia. L’intreccio dei fattori in gioco gli consente di tessere la tela dell’umana vanitas. Chi di noi, qui convenuti, in preghiera, per rinnovare il paterno vincolo di comunione che ci lega al caro Mons. Giussani, può restare indifferente agli interrogativi angosciosi e alle amare constatazioni del Qoèlet? Infatti la Chiesa, Madre e Maestra, ci invita a leggere la circostanza che ci unisce attraverso questa santa azione eucaristica. La liturgia è la forma (il paradigma) della vita che illumina la realtà, trama di circostanze e di rapporti come Mons. Giussani amava definirla. Vanitas afferma il Qoèlet, cioè inconsistenza. Inconsistenza del nostro umano essere e del nostro agire.
2. «Tuttavia so che saranno felici coloro che temono Dio… e non sarà felice l’empio» (Prima Lettura, Qo 8,12-13).Riflettendo su ogni azione che si compie sotto il sole, Qoèlet incontra nel timor di Dio un legno a cui aggrapparsi nel vasto gorgo del male. Questo però non sembra liberarlo completamente dal rischio del naufragio, poiché «vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata dai malvagi con le loro opere, e vi sono malvagi ai quali tocca la sorte meritata dai giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità» (Prima Lettura, Qo 8,14). Questa stretta del male che attanaglia il nostro io e fa sentire tutto il suo peso nel male del mondo, e di cui si parla a proposito e a sproposito in questi tempi di travaglio, non si può dunque sciogliere? Qoèlet anticipa il grido di Paolo: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Rm 7,24). Un aspetto geniale della proposta educativa di Mons. Giussani non è stato forse l’efficace riproposizione della verità cristiana che nessuno può salvarsi da sé? La scelta di celebrare la Messa votiva del Santissimo Nome di Gesù nel VII anniversario della morte di Mons. Giussani e per ricordare il XXX anniversario del riconoscimento pontificio della “Fraternità di Comunione e Liberazione”- indica chiaramente la strada della salvezza offerta ad ognuno di noi e all’umanità intera.Così infatti ci ha fatto pregare l’Orazione dell’inizio dell’Assemblea liturgica: «Per il Figlio tuo venuto tra noi hai scelto, o Dio, un nome che chiaramente lo manifestasse come salvatore del genere umano…». Il nome di Gesù significa “Dio salva”. Veramente Gesù ha sciolto l’enigma dell’uomo rivelandogli la sua consistenza. Essa si radica nell’amore con cui «Dio ci sazia fin dal mattino» e «rende salda per noi l’opera delle nostre mani» (Salmo responsoriale, Sal 90,14a. 17).
3. In Gesù la vanitas (inconsistenza) è vinta. «Adorno del nome mirabile che esprime salvezza» - dice il Prefazio - Gesù ci accompagna, riscattandoci dal nostro peccato. E il testo liturgico aggiunge, dettagliando con intensità: «Dolce e rasserenante certezza è la sua protezione nei pericoli della vita, e nel momento della morte il suo nome invocato è speranza e conforto». Ogni cosa in Lui ha consistenza: «Omnia in Ipso constant» (Col 1,17). È importante meditare a lungo e piegare il nostro quotidiano vivere a questa convinzione. Ogni cosa significa tutto. Nel mistero glorioso del Verbum caro tutto è stato salvato perché tutto è stato assunto. Fin dai suoi primordi la tradizione della Chiesa ambrosiana ha trasformato il metodo dell’azione di Dio nella storia degli uomini (incarnazione) in una feconda proposta educativa. Ha così generato lungo i secoli figli consapevoli che “troppo perde il tempo chi ben non ama” Gesù.Monsignor Giussani ha espresso questa sensibilità ambrosiana con forza profetica fin dalla fine degli anni ’50, educando all’assunzione integrale di ogni aspetto dell’umana esistenza. Per la logica dell’incarnazione il cristiano è colui che testimonia - in famiglia, al lavoro, nel sociale a tutti i livelli fino ad arrivare all’impegno politico - l’opera salvifica del Crocifisso Risorto.
4. Amici, l’azione eucaristica di questa sera pone ognuno di noi davanti ad un aut-aut che, a volte tacito e quasi impercettibile a volte prepotente, accompagna ogni nostra azione. Sotto la pressione del male, fisico e soprattutto morale, può prender peso anche nel cristiano la tentazione di pensare che tutto sia vanitas, inconsistenza. O il cristiano presume nei fatti di salvarsi da sé finendo talvolta come gli scribi per «cercare i primi seggi nelle sinagoghe» (Vangelo, Mc 12,38 e 39). Oppure la sua libertà cede all’amorevole sferzata del Salmo: «Tu fai ritornare l’uomo in polvere, quando dici: “Ritornate, figli dell’uomo”» (Salmo responsoriale) come ci ricorderà tra qualche giorno l’imposizione delle Ceneri. Il ritorno, frutto del perdono, rende capaci di amore oggettivo ed effettivo. Come Qoèlet anche Gesù è un attento osservatore della realtà: «Seduto di fronte al tesoro, osservava …» (Vangelo, Mc 12, 41). La vedova, che ha gettato nel tesoro «tutto quanto aveva per vivere» (Vangelo, Mc 12, 44), mostra la forma piena della libertà del cristiano. In ogni azione egli è chiamato ad esprimere il primato di Dio nella sua vita. La vittoria sulla vanitas, la grazia della consistenza, sta tutta nel riconoscimento di Cristo presente che chiede il dono totale di sé. Memoria ed offerta esprimono in tal modo la pienezza affettiva cui ogni uomo anela e di cui il cristiano autentico può fare esperienza.
5. Il Vangelo di oggi ci offre un ultimo prezioso insegnamento. È contenuto in un piccolo passaggio narrativo, celato come una perla nelle pieghe del brano evangelico proclamato. «Chiamati a sé i suoi discepoli » (Vangelo, Mc 12, 43) Gesù li aiuta a comprendere il gesto della vedova. Cosa traspare da questo gesto di Gesù? Il legame solido tra i membri di quella prima compagnia da Lui generata. Una parentela più potente di quella della carne e del sangue, una fraternità in cui si anticipa – come traspare nella Santa Eucaristia – la vita del Paradiso. Cristo chiama i Suoi a fare l’esperienza inaudita che la consistenza dell’io si chiama comunione. Comunione come stima a priori per l’altro, perché abbiamo in comune Cristo stesso. Comunione disponibile ad ogni sacrificio per l’unità affinché il mondo creda. «L'espressione matura del condividere cristiano è perciò l'unità fin nel sensibile e nel visibile. Questa fu l'espressione del tormento finale di Cristo nella sua preghiera al Padre, quando in tale unità sensibile e visibile indicò consistere la decisiva testimonianza dei suoi amici» (L. Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza, 52-53). Qui sta la vittoria sulla vanitas. Qui comunione è liberazione. «La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1, 3b). Quando per grazia si diventa amici di Dio, la comunione sviluppa un irresistibile moto di condivisione della vita di tutti i fratelli uomini in ogni ambiente dell’umana esistenza. La gratitudine per avere tutto ricevuto genera gratuità nel tutto dare.
6. Carissimi, il carisma cattolico che lo Spirito ha dato a Mons. Giussani, che la Chiesa ha universalmente riconosciuto, e di cui decine di migliaia di persone in tutto il mondo possono oggi godere, è fiorito in questa santa Chiesa ambrosiana. L’amore che Mons. Giussani le portava è documentato da mille e mille segni e testimonianze. Per i fedeli di questa diocesi appartenenti al Movimento di Comunione e Liberazione questo dato di fatto costituisce una responsabilità che chiede di essere sempre rinnovata: praticare, nella cordiale assunzione del principio della pluriformità nell’unità, una profonda comunione con tutta la Chiesa diocesana che vive ad immagine della Chiesa universale. Questa comunione è con l’Arcivescovo, con i sacerdoti, con i religiosi e le religiose, con tutte le aggregazioni di fedeli, con tutti i battezzati e con tutti gli abitanti della nostra “terra di mezzo”. L’Incontro dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove comunità del 30 maggio 1998 con il Beato Giovanni Paolo II ha segnato un irreversibile passaggio a una nuova fase che gli eventi che si stanno producendo nel nostro Paese e nella Chiesa ha confermato. Come ricorda incessantemente Benedetto XVI questo è il tempo della nuova evangelizzazione a cui tutte le realtà ecclesiali debbono concorrere in armoniosa unità. L’uomo post-moderno domanda salvezza, consistenza: per questo ha bisogno di testimoni di quella forma bella del mondo (Ecclesia forma mundi) che è la santa Chiesa di Dio.
7. «Donaci largamente l’aiuto della tua grazia e assicuraci la gioia di trovare scritti i nostri nomi in cielo». Queste parole della Preghiera dopo la Comunione dicono la fonte della nostra letizia e della nostra speranza: la presenza di Gesù e il nostro esserGli familiari per il bene dei nostri fratelli uomini. Amen.