Bari 2020. Nove monasteri del Mediterraneo uniti in una catena di preghiera
Suore in preghiera
Sono «le donne di Dio». O almeno così «ci chiamano i nostri fratelli musulmani», raccontano le carmelitane scalze di Tangeri in Marocco. Sorridono quando parlano del loro monastero affacciato sul Mediterraneo. Uno dei moltissimi che costellano il grande mare. Presìdi di preghiera, anzitutto. Ma anche spazi dove l’incontro con l’altro (spesso di un credo diverso), il dialogo senza barriere, l’aiuto agli ultimi sono pane quotidiano e diventano “motore” di riconciliazione. «Vivere in una comunità monastica significa spostare i confini, aprirsi ad altre prospettive, spingersi in un ascolto oltre il già noto – spiegano le agostiniane di Pennabilli nella diocesi di San Marino-Montefeltro –. La preghiera, in cui si avvicinano la sponda di Dio e quella degli uomini, è anche l’ambito in cui si avvicinano le sponde dei diversi mondi e territori che sono le persone e i popoli».
Alle religiose che vivono nel paese in provincia di Rimini si deve la rete di preghiera per la pace tessuta per accompagnare e sostenere i vescovi dell’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”. Una proposta suggerita dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, che ha unito spiritualmente nove monasteri delle diverse sponde del mare dove in questi mesi si è pregato per la «Chiesa del Mediterraneo», come si legge nelle intercessioni in cui si invita a essere pronti a «dilatare il cuore di fronte a chi è diverso», ad avere «una continua tensione verso il perdono e la pace», ad «aprire finestre che permettano scambi di doni», a esercitare «il ministero dell’amicizia presso i popoli». Invocazioni di cui si sente l’eco fin qui a Bari e che sono risuonate fra Italia e Marocco, fra Israele e Palestina, fra Egitto e Siria, fra Libano e Albania dove si trovano le nove case “oranti”.
«Dobbiamo stabilire ponti eucaristici in mezzo ai popoli», affermano le sorelle e i fratelli della Piccola Famiglia dell’Annunciazione citando il loro fondatore don Giuseppe Dossetti. La comunità è a Ain Arik, piccolo villaggio della Palestina vicino a Ramallha circondato da check-point e insediamenti ebraici. E la prima sfida è rappresentata dal dialogo in un contesto musulmano: serve «assumere le sofferenze, le ferite, le paure dei nostri popoli», dicono. Ma avvertono: «La Chiesa deve svolgere un compito di vigilanza e profezia rispetto alla storia che la renda capace di smascherare ogni forma di ingiustizia».
A poche decine di chilometri le clarisse di Gerusalemme – dieci sorelle di cinque nazioni diverse – descrivono il loro monastero come un «luogo di incontro per persone di fedi diverse che vengono in parlatoio». E sono soprattutto ebrei, che le guardano «con rispetto, curiosità ma anche stima per la vita di preghiera». Così il quotidiano diventa un cammino «di conversione personale e comunitaria» nel segno dell’«accoglienza».
È quanto scrivono nel dossier che raccoglie le meditazioni sul Mediterraneo delle nove comunità. Il testo consegnato a Bassetti contiene anche un vero e proprio appello ai vescovi con una serie di proposte scaturite di fronte al tabernacolo: dal richiamo a «resistere alla moda e alle pressioni dei più forti» all’impegno ad «annunciare il Vangelo della prossimità». Il tutto alla scuola di Giorgio La Pira, ispiratore dell’evento pugliese, che nel 1965 esortava le claustrali a «una mobilitazione mondiale di preghiera per ottenere dal Signore la pace fra i popoli di tutto il pianeta».
La Chiesa è tenuta a «incontrare le diversità», dicono le clarisse di Scutari in Albania che in una terra a maggioranza musulmana hanno come priorità quella di «disinnescare le mine», confidano. Il che significa promuovere la fratellanza ma anche combattere «la povertà, la violenza nelle famiglie, la corruzione che crea ingiustizia», riferiscono le contemplative. Essere «accanto» è l’imperativo che vuol dire anche dare «voce agli scartati». E un’emergenza è l’emigrazione dei giovani. «Una vera e propria fuga che ha effetti di morte – sostengono – perché soffoca il futuro».
Alla porta delle carmelitane scalze di Tangeri, invece, bussano i migranti che arrivano dal cuore dell’Africa e sognano di attraversare lo stretto di Gibilterra. Come Sali, una donna camerunense che, immaginando di raggiungere l’Europa, era entrata in Marocco e la polizia l’aveva rispedita alla frontiera. «Ora lavora come cuoca con i frati francescani», raccontano soddisfatte le religiose. E annotano: «Quelle del Nord Africa sono Chiese piccole, spesso ritenute “più” inutili, che soffrono la persecuzione e sono generalmente incomprese». Invece hanno una missione: vivere il dialogo che «è vivere la gioia della fede», sottolineano.
Dalle agostiniane di Rossano Calabro giunge l’invito a «non restare ricurvi sulle nostre beghe territoriali, a diventare estroversi avendo a cuore ciò che di drammatico si consuma nelle terre lambite dallo stesso mare». E in Calabria le piaghe sono quelle dell’esodo dei giovani dal Mezzogiorno, della disoccupazione, della malavita, riferiscono le monache.
«Sperare esige coraggio. E il primo coraggio è quello della preghiera – osservano le agostiniane di Pennabilli –. La preghiera è una straordinaria scuola di alterità». Ecco perché «il riconoscimento e la difesa della dignità dell’altro» hanno bisogno del «lavoro paziente di una vita intera vissuta davanti a Dio». Poi, parafrasando il santo vescovo di Ippona che ha collegato le rive del Mediterraneo, ammoniscono: «Dove la carità non fa da nave, ad affondare non sono solo i barconi dei migranti ma la nostra umanità».
La rete spirituale per il grande mare
Monache carmelitane di Tangeri MAROCCO
Monache agostiniane di Rossano Calabro ITALIA
Monache agostiniane di Pennabilli ITALIA
Monache clarisse di Scutari ALBANIA
Monache clarisse di Alessandria d'Egitto EGITTO
Monache clarisse di Gerusalemme ISRAELE
Piccola Famiglia dell'Annunziata di Ain Arik a Ramallah PALESTINA
Religiose dell'Ordine maronita LIBANO
Monache carmelitane di Aleppo SITIA