Palermo. Lorefice: «Non esistono preti antimafia ma sacerdoti capaci di incidere»
L’arcivescovo Corrado Lorefice mentre incontra un gruppo di bambini
La sala d’aspetto dell’Arcivescovado di Palermo è così bella e grande che un ospite potrebbe smarrirsi. Ma ad accoglierti, in un’immagine mite, c’è lo sguardo sereno di padre Pino, il beato Puglisi. Che sempre più sta diventando punto di riferimento e guida spirituale della Chiesa palermitana. «Un amico e compagno di strada assente, perché assassinato 24 anni fa. Eppure più che mai presente», spiega l’arcivescovo Corrado Lorefice.
Qual è il bilancio dei suoi primi sedici mesi a Palermo?
Ricordo l’accoglienza eccezionale da parte di tutti, clero e fedeli laici. Perché? Forse, dopo tanto tempo hanno visto 'nascere' il loro arcivescovo. Sono stato consacrato qui, in questa Cattedrale. E per i palermitani sono padre, sì, ma anche 'figlio'. È stato un incontro nel segno della semplicità e della cordialità.
E quale Chiesa ha trovato?
Siamo nel Meridione. Qui nel popolo c’è ancora un’apertura congenita alla fede, certamente da meglio formare e alimentare, ma c’è. Abbiamo la fortuna di avere vocazioni e un clero sufficiente.
In questa situazione, qual è il compito dell’arcivescovo?
Formare il clero, costantemente. Far sì che le comunità siano alimentate con un cibo robusto, e la fede possa incarnarsi nella storia.
E lei concretamente che cosa ha fatto?
Il mio primo obiettivo è stato di far crescere il gusto di accogliere il Vangelo, di formare una comunità che se ne faccia discepola. Ho indetto un anno di ascolto della Parola in tanti centri di ascolto parrocchiali, nelle famiglie, nelle scuole... Ho cercato di porre la Chiesa palermitana sotto il primato della Parola. E in una dimensione sinodale.
Secondo l’invito, e il metodo, del Convegno ecclesiale di Firenze?
A Firenze c’ero, da nominato ma non ancora consacrato. Nel settembre scorso, all’apertura dell’anno pastorale ho convocato un’assemblea diocesana con tutti i presbiteri e cinque fedeli per ogni parrocchia. Più di cinquecento partecipanti per due giorni, mettendo a tema 'L’Evangelii gaudium a Palermo'.
Altro invito esplicito di Francesco a Firenze.
Vorrei una Chiesa abitata dalla gioia di condividere il Vangelo, sempre guardando al volto di Cristo, ai suoi gesti e alle sue parole. Una Chiesa in uscita che immetta nella città degli uomini le 'energie escatologiche' dell’annuncio, compresa la loro ricaduta sociale. Tra poco celebreremo la Pasqua. Cieli e terre nuove. Come potremo annunciarli senza indignarci del male, di tutto ciò che è sotto il dominio della prepotenza e dell’ingordigia?
Francesco invitò a prendere 'tre o quattro parole' dell’Evangelii gaudiume ad approfondirle.
È quanto abbiamo fatto in settembre con il vescovo Marcello Semeraro e due teologi siciliani, don Giuseppe Ruggieri e don Francesco Conigliaro, che ha riletto l’Evangelii gaudium alla luce della vita e delle parole di don Pino Puglisi,
Il beato Puglisi... La sua tomba, pur così semplice, sembra quasi il cuore della Cattedrale.
Non potevo trovare tesoro più grande. Don Pino è nostro, un figlio di Palermo. Un compagno assente, eppure presente, testimone di una Chiesa della ferialità. È uno straordinario punto di riferimento.
È lui che accoglie i visitatori qui in Arcivescovado. Un caso?
Vedo che l’ha notato. Ovviamente non è un caso, anzi. Don Pino è il campione di una comunità cristiana che si incarna nella vita degli altri, nei luoghi dove viviamo. Con lui, la storia diventa luogo teologico. È la Parola accolta che ritorna e libera. Sbagliato definirlo 'prete antimafia'.
Perché?
Non ci sono 'preti antimafia', ma soltanto preti capaci di incidere nella storia degli uomini e non vanno imprigionati in alcuna etichetta. Don Pino, per usare un’espressione di Tonino Bello, era un 'contemplattivo'. A Brancaccio è stato appena tre anni. Ha subito capito che il primo problema era una mancanza: di cultura, di lavoro, di prospettive. Di Stato. Dove manca, cresce la mafia. Il Centro sociale 'Padre Nostro', là dove pretende di regnare il padrino era, già nel nome, una sfida da parte di chi rifiuta di farsi schiavizzare.
Lei l’ha conosciuto personalmente?
Sì, e bene. Tutti e due ci occupavamo di pastorale vocazionale, lui a Palermo e in Sicilia, io a Noto. Don Pino era un uomo dalla profonda spiritualità, una figura che incarnava l’intuizione di papa Francesco: 'assume' la carne umana soltanto chi incontra e assume la carne di Cristo, nell’Eucaristia e nella Parola.
E la Chiesa in uscita? Come 'esce' la Chiesa palermitana?
Guai se pensassimo che l’uscita consista in una sorta di 'sbandata sociologica'. In uscita è la Chiesa che comprende che cosa significa: 'Lo Spirito del Signore è su di me'. Per usare un’espressione di Giovanni XXIII, in uscita è la Chiesa che condivide il Vangelo con un linguaggio che gli permetta di diventare alimento quotidiano. La dottrina non cambia, ma cambia il linguaggio, ossia la sua formulazione, affinché la dottrina sia fruibile oggi, qui.
La Chiesa di Palermo è nota per la sua capacità di accoglienza. Eppure, a sentir certe voci, pare che chi accoglie sia un ingenuo buonista, e chi rifiuta un sano realista.
I palermitani, mi creda, fanno a gara nell’accogliere gli immigrati. Appena arriva una nave, si mobilitano. Ma la Sicilia è questa, una terra abituata all’accoglienza. Né si scandalizza della diversità a maggior ragione oggi, nel tempo sciagurato dei muri e della violenza perpetrata nel nome di Dio, bestemmiando.
Accoglienza e dialogo anche tra fedi diverse?
Culture e fedi diverse convivono, il dialogo interreligioso è fatto di continui segni concreti. Alla mia ordinazione episcopale, ho ospitato in Arcivescovado i rappresentanti di tutte le religioni. Alla festa di santa Rosalia sono venuti anche ebrei e musulmani.
Sa che cosa potrebbero dirle? Che il suo è un dialogo a senso unico...
A mia volta ho avuto occasione di essere ospitato e parlare nei templi valdese e anglicano. Poi c’è chi è grande, come noi cattolici, e chi è piccolo come gli ebrei, cacciati da Palermo nel 1493. Oggi sono pochissimi. Erano privi perfino di un luogo di culto, così abbiamo dato loro in comodato d’uso un oratorio intitolato a Santa Maria del Sabato.
Un nome che non sembra casuale... Padre Corrado, e la Chiesa italiana quale contributo specifico può dare al Paese?
Non può non fare tesoro dello stile che Francesco ci sta consegnando, un linguaggio adatto per una modernità che non sembra amare la verità. Ma il vangelo è quello di sempre e credo dovremmo tornare a privilegiarne lo stile parabolico. Gesù agisce innanzitutto per gesti e parabole. E comincia la predicazione proprio in Galilea, terra di traffici e commerci, potremmo dire 'l’area secolarizzata' del tempo, la più difficile. Lo stile parabolico va dritto al cuore e coinvolge tutti, dal pescatore all’esattore delle imposte. Non impone subito norme e regole. Non comincia neanche dal peccato, ma dalla misericordia. Tocca la vita concreta e la cambia. Come Zaccheo: Gesù non lo accusa e lui si sente accolto, toccato, amato. E sarà lui ad assumersi le proprie responsabilità e porre rimedio a uno stile di vita sbagliato, fondato sulla potenza del denaro che schiavizza gli uomini. Ecco, io ripartirei da Zaccheo.
IL PROFILO. Corrado Lorefice nasce a Ispica, diocesi di Noto e provincia di Ragusa, il 12 ottobre 1962. È ordinato prete il 30 dicembre 1987 e inviato a perfezionare gli studi a Roma all’Accademia Alfonsiana, dove ottiene la licenza in teologia morale. A Noto ricopre vari incarichi, tra cui economo e vicedirettore del Seminario diocesano, direttore del Centro diocesano vocazionale (in seguito sarà anche direttore regionale, succedendo a don Pino Puglisi), direttore dell’Ufficio catechistico, vicario episcopale prima per il clero e poi per la pastorale, insegnando nel frattempo teologia morale in vari Istituti di scienze religiose della Sicilia. Nominato arcivescovo di Palermo il 27 ottobre 2015, è consacrato il 5 dicembre, succedendo al cardinale Romeo. Tra le sue opere più recenti: La compagnia del Vangelo. Discorsi e idee di don Pino Puglisi a Palermo (Edizioni San Lorenzo).
I NUMERI
925mila gli abitantiin territorio diocesano
178 le parrocchie122 delle quali a Palermo città
6 i vicariatidi cui 4 urbani
480 i sacerdoti; 230 i diocesani