Chiesa

L’intervista. «Noi diaconi permanenti ponte tra Chiesa e mondo»

Enrico Lenzi domenica 4 agosto 2024

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«Sono come un ponte tra la Chiesa e il mondo». Ma anche dentro la comunità ecclesiale «il nostro ruolo sta diventando importante e significativo». A parlare è Enzo Petrolino, presidente della Comunità del diaconato in Italia, che riunisce i diaconi permanenti in attività nel nostro Paese. Sarà proprio lui, nella veste di presidente, ad aprire domani pomeriggio i lavori del XXIX Convegno nazionale dell’associazione ad Assisi presso la Domus Pacis. Un appuntamento che quest’anno si è dato come titolo “Diaconi profeti e seminatori di pace”.

Presidente, un titolo e un obiettivo piuttosto impegnativi.

Senza dubbio. Anzi, qualcuno guardando il programma del nostro incontro ha parlato addirittura di tre convegni in uno, visto che parliamo di speranza, di profezia e di sinodalità. Senza dubbio è il segno che ci sentiamo pienamente inseriti nel Cammino sinodale che la Chiesa italiana e quella universale stanno compiendo. E poi siamo proiettati verso l’Anno Santo, che vedrà dal 21 al 23 febbraio delle giornate giubilari espressamente rivolte a noi diaconi permanenti. Infine la collaborazione con il Movimento Laudato si’ e il Dicastero per l’evangelizzazione apre il nostro appuntamento annuale a una prospettiva che possiamo definire “delle quattro P”: poveri, profughi, pianeta e pace.

Dunque alla luce del motto dell’Anno Santo anche voi siete impegnati sulla via della speranza?

Credo che lo slogan “pellegrini di speranza” scelto per il Giubileo 2025 faccia emergere due dimensioni essenziali per qualunque cristiano: il cammino e la speranza. Del resto anche lo stesso Gesù ha compiuto la sua predicazione camminando, incontrando la gente per le strade e nei villaggi. Ha indicato quello che definirei uno stile di vita per il diacono permanente: camminare e incontrare la gente.

Verrebbe da dire che essendo molti di voi impegnati nel mondo del lavoro, siate facilitati in questo incontro. È davvero così?

Siamo in una posizione straordinaria. Essere nella Chiesa con un ministero ordinato e nel mondo, dove lavoriamo, svolgiamo una professione. Ci potremmo davvero definire “un ponte” tra la Chiesa e il mondo. Una bella sfida anche per noi, che siamo ordinati e viviamo nel mondo. Ma la presenza attiva dei cristiani, dei cattolici è quanto mai auspicata, come è stato sottolineato alla recente Settimana sociale dei cattolici in Italia svoltasi a Trieste.

Quindi dopo essere profeti e seminatori, anche testimoni?

È la prima cosa. La speranza va narrata attraverso la testimonianza della propria vita. Anche per questo motivo abbiamo invitato a portare la propria esperienza il presidente della Caritas del Libano che è un diacono.

Testimonianza che include anche le vostre famiglie?

Certamente. Gran parte di noi è sposata e padre. Molti persino nonni. Nel nostro ministero di diaconi non possiamo e non dobbiamo mai dimenticare che abbiamo celebrato prima il Sacramento del matrimonio. Per questo motivo nei nostri incontri nazionali coinvolgiamo anche le mogli dei diaconi. E anche nel percorso formativo dei futuri diaconi abbiamo aumentato l’attenzione alle mogli e ai figli. Del resto il consenso della moglie è vincolante per il via libera all’ordinazione, proprio perché questa consacrazione ha riflessi sulla vita dell’intero nucleo familiare. Arrivare all’ordinazione consapevoli del gesto è importante. E non lo è meno il dopo, cioè nel ministero diaconale. Una opera di discernimento familiare per rafforzare questa scelta. Già da tempo abbiamo attivato un corso di formazione proprio sulla dimensione domestica del diaconato, rivolto alle mogli.

Torniamo a parlare del vostro ruolo nella comunità ecclesiale. Il calo delle vocazioni sacerdotali ha privato tante parrocchie di un prete, lasciando spazio, a volte, a vere e proprie équipe magari guidate da un diacono permanente. Dal vostro osservatorio che fotografia emerge?

Nel nostro Paese ci sono 4.800 diaconi permanenti, che vuol dire una presenza quasi capillare in tutte le diocesi italiane. Ma la situazione è variegata e la presenza operativa dei diaconi non è omogenea in tutto il Paese. A volte appaiono al servizio di una comunità locale, a volte sono alla guida di realtà diocesane come la Caritas o l’ufficio per la pastorale della salute, per fare qualche esempio. Per il momento in Italia non solo molte queste équipe pastorali a cui è affidata la cura di una comunità pastorale priva di sacerdote. La presenza di un diacono permette almeno di poter celebrare la Liturgia della Parola o la distribuzione della Comunione senza la celebrazione della Messa. Di certo è uno scenario a cui dobbiamo guardare e al quale dobbiamo prepararci in assenza di un cambio di rotta nelle vocazioni.

Verrebbe da dire che accanto a quelle sacerdotali si dovrebbero promuovere momenti di preghiera anche per la vocazione al diaconato.

Quando si parla di Giornata delle vocazioni, in effetti, si tende a pensare in prima battuta a quelle sacerdotali. E ora che il numero dei seminaristi è in calo la preoccupazione appare ancora più accentuata. In realtà si dovrebbe parlare di tutte le vocazioni, tra cui anche quella al diaconato. Una vocazione che nasce nel tempo e nel corso della vita. Oggi il più delle volte sono i parroci che fanno la proposta di questo cammino a uomini che sono impegnati in parrocchia magari nella liturgia e nella carità. Meno efficaci si sono dimostrate le autocandidature al diaconato. Sarebbe invece interessante se nel percorso di proposta o di scelta di futuri diaconi fosse coinvolta la comunità parrocchiale. Senza dimenticare la dimensione familiare da cui il candidato proviene. È fondamentale trovare un giusto equilibrio tra l’ordinazione diaconale e la propria vocazione matrimoniale. Occorre vigilare perché una delle due realtà non prevalga sull’altra. Ecco perché è forte il richiamo a un discernimento condiviso.

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